Caro duro, oltre al fatto che non comprendo il sillogismo sotteso al tuo ragionamento, ed in particolare non ne capisco la conclusione
proprio per questo, e perché io amo il mio prossimo, umano o animale, come me stesso, ma non più di me stesso, la carne la ritengo elegibile a pasto,
senza entrare nel merito della questione in esame in questo topic (come puoi ben vedere se n'è già discusso abbastanza
) vorrei invece fare una considerazione sulla premessa primìncipale del tuo (sotteso) sillogismo, ossial il latino detto "in media stat virtus".
Nulla da togliere all'antica saggezza romana, ma troppo spesso vedo usato il principio del "giusto mezzo" per giustificare di tutto.
Il suddetto principio serve a bilanciare in maniera opportuna tra due poli di per se entrambi positivi. Quindi ad esempio bisogna cercare di dedicarsi in maniera equilibrata (che può variare anche di soggetto in soggetto) allo studio e all'attività fisica, e non solo e totalemnte ad una delle due cose seppur entrambe "buone"; oppure bisogna imparare a prendersi ne troppo sul serio ne continuamente con leggerezza; e via discorrendo.
Ma non lo si può usare in ogni circostanza.
Cosa vorrebbe dire, ad esempio, il giusto mezzo tra la libertà assoluta da una parte e la più disumana schiavutù dall'altra? quale sarebbe il giusto mezzo? Starebbe davvero li la "virtù"? in una specie di "libertà vigilata"?...
E potrei fare tanti altri esempi, ma so che hai capito cosa intendo.
E poi, nel caso specifico, quale sarebbe il giusto mezzo sulla carne.
Perlomeno limitandosi al considerare la carne "elegibile a pasto" o meno (per usare una tua espressione), la questione si pone in termini binari: è un interruttore, si o no; è da considerersi un pasto o meno; la mangi o non la maggi.
Non ci sono altre alternative, ne alcuna via di "mezzo" da seguire.