[…] Quindi se si capisce bene che la morte è niente, per noi allora la vita mortale diventa felice, ma non perché questo aggiunga infinto tempo alla vita, bensì perché toglie il desiderio dell’immortalità. Infatti, non c’è nulla da temere nella vita se si è convinti che non c’è niente da temere nel non vivere più. Ed è sciocco anche temere la morte, in quanto sarebbe doloroso attenderla, anche se poi dolore non porta. La morte non ci darà dolore quando arriverà ed è quindi davvero sciocco lasciare che essa ci porti dolore mentre l’attendiamo. Quindi il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi. La morte quindi è niente, per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c’è, mentre per quanto riguarda i morti sono loro a non esserci. La maggior parte delle persone, però, fugge la morte considerandola come il peggiore dei mali, oppure la cerca come liberazione dai mali della vita. Il saggio, invece, non rifiuta la vita e non ha paura della morte, perché non è contro la vita ed allo stesso tempo non considera un male il non vivere più. Il saggio, così come non cerca i cibi più abbondanti ma i migliori, non cerca il tempo più lungo, ma cerca di godere del tempo che ha. Ed è da stupidi esortare i giovani a vivere bene ed i vecchi a morire bene, perché nella vita stessa c’è del piacere ed una sola è l’arte del ben vivere e del ben morire. Ma ancora peggio è chi dice che sarebbe meglio non essere mai nati, oppure essere morti subito. Se chi dice così è davvero convinto di ciò che dice, perché non abbandona la vita? È in suo potere farlo, sempre che egli parli seriamente e che questa sia la sua opinione. Se invece scherza, parla da stolto e lo fa riguardo a cose su cui non c’è proprio da scherzare.
Un giovane andò da un maestro e gli chiese: "Quanto tempo potrò impiegare per raggiungere lilluminazione?" Rispose il maestro: "Dieci anni". Il giovane era sbalordito. "Così tanto?" domandò incredulo. Replicò laltro: "No, mi sono sbagliato, ci vorranno venti anni". Il giovane chiese: " Perché hai raddoppiato la cifra?" Allora il maestro spiegò: "Adesso che ci penso, nel tuo caso ce ne vorranno probabilmente trenta".
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