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Volo Pindarico

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2012 09:41
11/05/2012 23:23
 
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Voli Pindarici

"Questa non è una storia che inizia con un evento preciso, sebbene la mia memoria sia ricca di note simboliche. Nella spirale dell'esoterismo si entra come al pub: con le proprie gambe, tranquilli, sereni, senza aspettative. Un sorso di birra tira l'altro, pian piano ci si dimentica di sé stessi, la fantasia corre al galoppo, la suggestione divampa: un martedì qualunque diviene una notte surreale. Si esce barcollando, senza sentire più le gambe e il contatto con la terra, liberi dai trabocchetti della memoria, dai sensi di colpa e della razionalità. In due ore una trasformazione da premio oscar: da timido a spigliato, da calmo a iracondo, da sensuale a impacciato, da muto a ciarliero, da fiero ad autocommiserato. Si assiste al gioco dei contrari, i bianchi diventano neri ed i neri bianchi, liberi per qualche ora da un'identità asfissiante inchiodata al principio di non contraddizione. Si conosce il meccanismo della trasformazione, l'eccesso di alcool, ma non la causa di questo delirio. Poi, dopo qualche ora di libertà vigilata, ripiomba il carcere della coscienza: il fegato pesa come un macigno ed i pensieri sono più foschi che mai. Non rimane che ubriacarsi ancora un'altra volta.
Forse questa breve allegoria non sarà chiara a tutti, ma nel corso della narrazione risulterà evidente come, nel caso della mia esperienza, l'esoterismo sia stata una droga sottile, intellettuale e invisibile, che ha corroso non tanto le mie abitudini e la mia esteriorità, quanto il mio modo di interpretare il mondo nella semioscurità di quel teatrino chiamato coscienza. Si lotta e si soffre da soli, si intraprende una campagna militare negli oscuri meandri del nostro pensiero, mentre alla luce del giorno si appare più o meno gli stessi. Si crede di avanzare, di progredire, di spiritualizzarsi, ma in realtà non si fa altro che indossare varie maschere finché la noia non ci riporta al punto di partenza e la natura, che non ama i ruoli fissi, ci costringe a ricercare nuovi stimoli, nuove variazioni su tema, nuove droghe con cui trastullarci. L'assurdità del tutto è che a forza di leggere e di indottrinarsi, si assume i contorni dell'intellettuale: le opinioni si fanno sottili, la favella diviene persuasiva, la psicologia si affina, la recitazione si fluidifica; si diventa artisti della parola, non importa se di infimo o di sommo grado; qualcuno, a partire da sé stessi, cascherà sempre nella rete.
L'altro grande aspetto paradossale è che si rimane impigliati nella pania dell'esoterismo con la speranza di liberarsi dalla sofferenza, ma in realtà si crea un meccanismo per cui la sofferenza finisce per moltiplicarsi all'infinito. Non si è mai soddisfatti, la meta sfugge sempre: si è disposti a sacrificare tutto pur di seguire un'utopia irraggiungibile. Un vecchio adagio ci ricorda che chi s'accontenta gode, ma la psicologia dell'esoterismo spinge alla riva opposta, dove, non essendo mai contenti, non si gode mai. O meglio, data che la psiche non è così lineare, si può dire che l'esoterismo sia un godere soffrendo: il superuomo, quando è in buona fede, ovvero quando crede realmente nell'idea che ha costruito di sé stesso, è sempre un supermasochista.
Uno dei pilastri dell'esoterismo è la divisione dell'umanità in due categorie: una manciata di sapienti ed una massa di poveri stolti. La massa viene spesso paragonata al cane, alla bestia fedele che dipende totalmente dal padrone. Peccato che l'aristocratico esoterista non si renda conto che egli stesso è un cane, uno di quelli, peraltro, che inseguono invano la propria coda: per quanto corra dietro alla sua idea di illuminazione, infatti, non la raggiungerà mai."




[Modificato da Dicson 11/05/2012 23:33]
11/05/2012 23:42
 
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incantevole albicocchina
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Caspita, il ragazzo scrive bene!
Però non credo di aver capito bene il succo del tuo discorso... [SM=x431223]
Mi pare di leggerci una forte disillusione e anche una certa tristezza...mi piacerebbe commentare alcune espressioni che hai usato, ma vorrei che prima ti spiegassi un po' meglio...
Cos'è che non va secondo te?Se dovessi spiegare quello che ti ha spinto a scrivere questo messaggio in poche e semplici parole, quali useresti?
12/05/2012 02:36
 
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O scrive bene (e l'hai capito) o la comunicazione non è poi così efficace. Ma come sai, Sissi, spesso non dipende dalla trasmittente...Quante volte per capire i testi di scuola sarai passata e ripassata su alcuni periodi da stele di rosetta? Però poi affini e t'arriva.
Comunque, per me scrive bene e chiaro.
Tanto chiaro che mancava poco che venisse fuori Schopenhauer...










Ah, tutto accade una volta soltanto,
ma una volta, sì, deve accadere.
Per valle o monte, per prato o per campo
devo svanire, per sempre tacere
be water my friend

12/05/2012 08:04
 
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ciao Dicson

a mio parere la disillusione è parte integrante del percorso spirituale/esoterico, anzi, credo che se non c'è dillissusione è perchè siamo immersi fino al collo nell'illusione.

Per certi versi tutto ci deve deludere, affinchè cominciamo a realizzare che la "meta" non esiste o non è come ce la immaginiamo noi.

E' un percorso dal soggettivo all'oggettivo, ma l'oggettività non è una qualità delle "forme", appartiene alla nostra percezione, che via, via si affina.

Quindi, io non credo che siano i percorsi necessariamente falsi e illusori; lo sono le nostre aspettative e false credenze. Il percorso valido ci permette di riconoscerle per quello che sono.

lara

[Modificato da l@r@_ 12/05/2012 08:06]


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12/05/2012 09:41
 
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« Che ne pensi, Govinda? » disse una volta Siddharta durante una di
queste peregrinazioni per elemosina « che ne pensi tu? Abbiamo fatto
progressi? Abbiamo raggiunto la meta? ».
Rispose Govinda: « Abbiamo imparato, e impariamo ancora. Tu diventerai un grande Samana, Siddharta. Hai appreso così in fretta ogni
esercizio, spesso i vecchi Samana si sono meravigliati di te. Un giorno tu sarai un santo, o Siddharta ».

Disse Siddharta: « Io non sono di questo parere, amico mio. Ciò che
ho imparato finora presso i Samana, o Govinda, avrei potuto impararlo
più presto e più semplicemente. In qualunque bettola di malaffare, tra
carrettieri e giocatori di dadi, l'avrei potuto imparare ».
Disse Govinda: « Siddharta si prende gioco di me. Come avresti potuto imparare, là, tra quegli sciagurati, la concentrazione, la sospensione
del respiro, l'insensibilità alla fame e al dolore? ».

E Siddharta disse piano, come se parlasse a se stesso: « Che è la concentrazione? Che l'abbandono del corpo? Che cos'è il digiuno? la sospensione del respiro? Tutto questo è fuga di fronte all'Io, breve pausa nel tormento di essere Io, è un effimero stordimento contro il dolore insensato della vita. La stessa evasione, lo stesso effimero stordimento prova il bovaro all'osteria, quando si tracanna alcuni bicchieri di acquavite o di latte di cocco fermentato. Allora egli non sente più il proprio Io, allora non sente più le pene della vita, allora prova un effimero stordimento. E prova lo stesso, sonnecchiando sul suo bicchiere di acqua-vite, che provano Siddharta e Govinda, quando riescono a sfuggire, grazie a lunghi esercizi, dai loro corpi, e a indugiare nel non-Io. Così è, o Govinda ».

Disse Govinda: « Così dici tu, amico mio, eppure sai bene che Siddharta non è un bovaro, né un Samana un ubriacone. Certo il beone trova lo stordimento, certo trova breve tregua ed evasione, ma egli ritorna dalla sua ebbrezza e ritrova tutto come prima, non è diventato più saggio, non ha raccolto conoscenza, non è salito di un gradino più in alto ».

E Siddharta replicò con un sorriso: « Non lo so, non sono mai stato unbeone. Ma che io, Siddharta, nelle mie pratiche e concentrazioni trovo soltanto una passeggera ebbrezza e rimango tanto lontano dalla saggezza, dalla soluzione, quanto lo ero in-fante nel ventre della madre, questo lo so, Govinda, questo lo so ».
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