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La ricerca del toro

Ultimo Aggiornamento: 09/06/2005 13:23
07/06/2005 13:30
 
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1. In cerca del toro

Mi apro la via attraverso le foreste,
seguendo il corso di fiumi senza nome,
perso nei meandri dei sentieri di montagna.
Esausto e disperato,
non riesco a trovare altro che il fruscio delle foglie
e il canto delle cicale al calare della notte.

Commento:

Perché cercare un toro che non si è mai perso? Il toro appare smarrito soltanto perché il mandriano è smarrito nell’esperienza della separazione. La sua casa diventa sempre più distante. Attraversa mille incroci nella vita, ma non sa quale strada seguire. Desiderio e paura bruciano in lui come una fiamma, e i concetti di bene e male lo imprigionano.





Generalmente si intendono le dieci immagini della ricerca del toro come una metafora del percorso di liberazione. Questo naturalmente ha un suo preciso senso, ma dobbiamo intenderci bene a riguardo.
Più precisamente l’inizio della ricerca è causato – per quanto paradossale possa sembrare – da un errore di valutazione. L’inizio della ricerca, già per il suo stesso fatto di essere un inizio, fa cadere nell’illusione della ricerca stessa. Su questo non ci possono essere fraintendimenti: Kakuan lo dice nel suo commento ai versi che accompagnano la prima immagine, chiedendosi retoricamente perché si debba cercare un toro che non è mai stato perduto. Cerchi e allora vuol dire che credi di essere separato da qualcosa che vada raggiunto: per questo sei smarrito nell’incubo della separazione. Per questo cerchi la strada da seguire.
Ma cercare la strada da seguire significa percorrere gli incroci della vita con atteggiamento calcolatorio, utilitaristico, egotico, strumentale. E allora è altrettanto ovvio che, con questo atteggiamento mentale, si cada facilmente nello sconforto, nella sfiducia, nello scoraggiamento, nello smarrimento, nella preoccupazione, ecc. Desideri farcela, pretendi di indirizzarti sulla via giusta; temi l’errore, lo sbaglio, hai paura di non essere adeguato.
Soprattutto hai gli occhi che puntano da qualche parte, sei concentrato e contratto e interpreti il resto della realtà – quella che non coincide con i tuoi piani – come distraente, inadatta, comunque superflua. Gli ultimi due versi dicono: “non riesco a trovare altro che il fruscio delle foglie / e il canto delle cicale al calare della notte”. Cioè: l’uomo che è caduto nel vizio della ricerca cerca la sua meta lontana, non accorgendosi che il fruscio delle foglie, il frinire delle cicale è il nirvana del qui e ora.






08/06/2005 13:28
 
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1. Scoprire le orme

Sotto gli alberi vicino alle sponde,
tra l’erba profumata,
sulle montagne remote.
Queste tracce sono onnipresenti come il cielo
Ed evidenti come il mio naso.

Commento:

Attraverso la guida della saggezza del Buddha il mandriano ha cominciato a capire qualcosa: ha trovato le orme. Ha compreso che proprio come molti oggetti sono fatti di un solo metallo, così tutte le cose del mondo oggettivo sono riflessi del sé. Tuttavia non riesce a distinguere tra verità e menzogna. Ha trovato il sentiero, ma non ha ancora varcato il cancello.





Il mandriano intraprende quindi la via della ricerca, è risoluto nel percorrere il sentiero che lo condurrà alla liberazione. A chi rivolgersi? come orientarsi? Se cerchi qualcosa e non sai dove trovarla, è ovvio che ti serva un appoggio! Hai bisogno di qualcuno che ti dica: fai così, vai da quella parte, pensa questo pensiero, agisci attraverso queste regole. Il mandriano ha come guida la saggezza del Buddha: grazie ad essa inizia il suo viaggio, vede le orme. Il Buddha paragonò il suo insegnamento a uno zattera: ti serve per attraversare il fiume. Chi ritenesse opportuno, arrivato a riva, portarsela dietro, confonderla con un totem, un idolo, una stampella cui aggrapparsi, sarebbe ancora in preda all’illusione. Il mandriano è a questo livello: arriverà però, come viene sempre indicato dalle stesse parole del Buddha riguardanti la zattera, a realizzare che l’insegnamento non è qualcosa cui attaccarsi, ma il cui scopo reale è essere semplicemente strumentale, qualcosa da abbandonare una volta assolta la sua funzione: è un metodo di liberazione, non una dottrina cui aderire. La zattera ha la sua necessità, ma dopo è solo un peso inutile.
Ma quali orme vede il mandriano? possiamo veramente parlare di sentiero quando le orme sono ovunque? è corretto concepire una via della verità che si distingua da una via dell’errore quando le orme sono “onnipresenti”, quando tutto è fatto “di un solo metallo”? Vedere via giusta e via sbagliata, appropriato e sconveniente è una proiezione della mente. Eppure il nostro mandriano fa proprio questo spazio mentale e così non riesce a distinguere tra verità e menzogna.
Non intuisce la profonda saggezza insita in questa sua ignoranza. Cerca una verità, senza sapere dove, e allora è in preda alla confusione. Non capisce che il suo stesso operare una scissione tra verità e menzogna è la causa della sua sofferenza.



09/06/2005 13:23
 
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Vedere il toro

Uccelli canterini tra i rami,
sole caldo e fresca brezza,
salici verdi vicino alla riva del fiume.
Non esiste un luogo dove il toro può nascondersi.
Chi potrebbe dipingere una testa tanto grande
E corna così penetranti?

Commento:

Il mandriano ascolta attentamente e trova la via. I suoi sensi diventano armoniosi e vede alla fonte delle cose. È chiaro in tutto quello che fa. Questa unità è come il sale nell’acqua. Quando tutto sarà chiaro, egli scoprirà che anche la cosa più minuscola non è divisa dal sé.






Cosa significa vedere il toro? Le parole sono metafore, ma che poi vanno abbandonate, per non farsi intrappolare dalla loro rete. Uno pensa: questo cerca il toro, scorge le tracce e finalmente lo trova. Ci potrebbe essere un eventuale errore in questa considerazione. Cioè: le tracce sono ovunque, di conseguenza anche il toro è evidente in ogni luogo. Se si intendesse invece il vedere il toro come la naturale conclusione di uno sguardo che si posi in un certo punto piuttosto che in un altro, allora si sarebbe frainteso il senso di questo ritrovo. Saremmo ancora succubi del dualismo.
Allora il toro non può nascondersi perché è nel canto degli uccelli, nel sole, nella brezza, nei salici, sulle rive, ... Non c’è luogo dove esso non sia. Ma anche: è così onnipresente, onnipervadente, che chi può disegnare un tale toro? È molto significativo questo elemento: si parla del toro, si dice che è ovunque, ma anche che non è circoscrivibile, descrivibile, identificabile. Non puoi disegnarlo e dire: questo è il toro. Non si ipostatizza il toro, non lo si qualifica, non se ne fa una merce, un oggetto, un qualcosa. Il toro è, ma è così tanto che non è. Il toro non è, nel senso che non è un ente. È come il sale nell’acqua: c’è ma non è; non è una cosa che vedi, ma senti. L’acqua è la realtà, il sale è il toro.
Il sale è il toro e il sale è anche “questa unità”. Unità nei sensi, unità tra le cose, la loro fonte e i sensi stessi, unità del mandriano tutto che ascolta con intensa attenzione. È lì il trovare la via. È questa unità che preannuncia quel superamento del toro medesimo, della sua ricerca, nella quale ancora il mandriano – a questo punto – è invischiato. È ovvio che ancora ne sia succube: lo dice Kakuan al termine del suo commento. “Quando tutto sarà chiaro, egli scoprirà...”: ancora non lo sa, ancora la sua preoccupazione – una preoccupazione necessaria, ricordiamolo sempre – è la ricerca e la cattura del toro. Ma poi questo livello va superato: tutto è chiaro nel momento nel quale c’è vera unità. Tutto è chiaro nel senso che la ricerca ha termine, si rivela infruttuosa, inutile, segno di ignoranza. Quando c’è unità, non c’è colui che cerca, non c’è oggetto di ricerca e non c’è il cercare medesimo. Solo unità, quiete, totalità, tutto e vuoto, silenzio e pienezza.



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