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SENZA REDINI!

Ultimo Aggiornamento: 17/11/2004 21:27
12/11/2004 23:16
 
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SENZA REDINIappunto...

Cina, alunni in gita premio
per assistere alle esecuzioni


PECHINO - Ma Weihua, 29 anni, l'hanno arrestata alla stazione ferroviaria di Lanzhou con l'eroina nascosta sotto la sua gonna gialla. Il possesso di droga è uno dei 69 reati per cui scatta la condanna a morte in Cina. Il suo era un caso speciale, però. Al momento dell'arresto Ma Weihua era incinta e il codice penale esclude dalla sentenza capitale le donne in stato di gravidanza. La polizia di Lanzhou non si è fermata per così poco.

La squadra narcotici ha trasferito Ma dal carcere all'ospedale Kangati dove un medico le ha praticato subito l'aborto. Sotto anestesia forzata "perché la paziente si rifiutava di cooperare". Un dirigente della Pubblica sicurezza di Lanzhou ha dichiarato alla stampa locale che "il codice non deve diventare un'arma in mano agli spacciatori per sottrarsi alla punizione".

Il caso di Ma rilancia il dibattito sulla pena di morte in Cina. Qui ogni anno la giustizia fa fucilare o sopprime per iniezione letale almeno diecimila persone: cinque volte più delle condanne a morte eseguite in tutto il resto del mondo, America compresa.

Nonostante il disagio degli intellettuali e dei dirigenti più illuminati, la pena di morte ha ancora un solido avvenire in questo paese. Pochi giorni fa a Changsha, capitale della provincia dello Hunan, centinaia di scolari sono stati guidati dai loro maestri in una singolare gita premio. Dentro il palazzetto dello sport di Changsha, insieme con altri 2.500 spettatori, i ragazzini delle classi elementari e medie hanno potuto assistere di persona e in diretta all'esecuzione di sei condannati.


Lo spettacolo è stato immortalato su un sito Internet: gli scolari in uniforme (dai sei ai sedici anni) ascoltano dagli altoparlanti la proclamazione dei reati commessi, poi il plotone di esecuzione apre il fuoco. Queste cerimonie pubbliche si moltiplicano in occasione delle festività nazionali. Di recente la provincia dello Yunnan ha acquistato diciotto "celle mobili" equipaggiate per l'iniezione letale, al fine di "migliorare l'efficienza e l'economicità" delle esecuzioni.

A Pechino il governo centrale sembra meno entusiasta di tanta pubblicità. Questo può spiegare il divario consistente che c'è tra le esecuzioni dichiarate e quelle reali. Nel 2003, per esempio, Amnesty International ha censito 1.639 condanne a morte ufficiali in Cina di cui 726 già eseguite. La stessa Amnesty International nel suo rapporto annuo avverte che "le cifre vere purtroppo sono molto più alte".

La stima di diecimila esecuzioni avanzata dal giurista Chen Zhonglin è considerata attendibile. Una simile strage non viene giustificata con gravi motivi di ordine pubblico. La Cina non è descritta dalle sue autorità come un paese tormentato da alti livelli di criminalità, non c'è un clima di allarme sociale per la violenza. E' il sistema giudiziario ad avere il grilletto facile.

Il professor Xiao Zhonghua dell'Accademia delle Scienze sociali invita a "vigilare contro l'abuso della pena di morte". Il giurista Liu Renwen dichiara alla rivista Huanqiu: "Nel 1910 sotto l'ultimo regime imperiale, la dinastia Qing, c'era la pena capitale per venti capi d'imputazione. Un secolo più tardi, il nostro nuovo codice penale ha triplicato i casi in cui si applica". Sono inclusi delitti non cruenti come il contrabbando, lo sfruttamento della prostituzione, la profanazione delle tombe, la falsificazione di banconote.

Di recente i reati che si pagano con la vita sono stati ancora aumentati. L'anno scorso sono stati aggiunti alla lunga lista il crimine di "diffusione deliberata della Sars", e quello di "produzione di materie prime tossiche". Anche la prevenzione sanitaria e la lotta all'inquinamento si regolano così, in un paese dove secondo Amnesty International "non esiste la presunzione d'innocenza, le confessioni ottenute attraverso la tortura valgono come prove in tribunale, gli avvocati difensori non sono tenuti ad essere presenti negli interrogatori di polizia, e il potere politico interferisce nel sistema giudiziario". Si aggiunge il sospetto che la pena di morte sia somministrata con particolare facilità ai membri di minoranze etniche non appena scatta contro di loro il sospetto di attività terroristiche (è il caso del tibetano Lobsang Dhondup fucilato a gennaio, e di diversi musulmani Uiguri in carcere).

Nelle ultime settimane qualcosa sembra muoversi. Una delle massime autorità giudiziarie del paese, il vicepresidente della Corte Suprema del Popolo Huang Songyou, annuncia che i condannati a morte dovrebbero avere diritto di appello presso la sua giurisdizione, cioè il tribunale costituzionale. Sarebbe già un progresso enorme: oggi i giudici che esaminano i ricorsi sono gli stessi che hanno inflitto la pena capitale. Il quotidiano Notizie di Pechino pubblica un appello firmato dai più celebri giuristi del paese, si intitola "Per l'abolizione della pena di morte sui reati economici". Liu Ri, vicepresidente dell'università Hebei, conferma che questo sarebbe il primo passo più ragionevole: "Eliminare la condanna capitale per i reati finanziari, poi per tutti i delitti che non comportano spargimento di sangue".

Questi esperti e magistrati hanno fatto i conti senza l'opinione pubblica. La Cina non ha libere elezioni o referendum per consultarla, ma almeno ha le rubriche di lettere ai giornali, i forum su Internet e i weblog. La loro reazione a queste proposte non si fa attendere. Sui siti Sohu. com e Sina. com piomba una valanga di proteste: 5.000 interventi contro la clemenza - o la civiltà - invocata dagli esperti. "E' irragionevole - scrive un giovane su Sohu. com - abrogare la pena di morte per i dirigenti politici che prendono le tangenti. Queste proposte ignorano il sentimento dei cittadini ordinari, offesi e danneggiati dal dilagare della corruzione".

Alcuni lettori indignati confidano ai giornali il timore che i giudici garantisti siano d'accordo con gli amministratori disonesti. Verso i corrotti nessuno è disposto a usare indulgenza. Per loro neanche l'ergastolo sembra bastare. Il giurista Li Kejie ammette che "molti cittadini sono a favore della legge del taglione, occhio per occhio dente per dente, soprattutto oggi che le riforme economiche creano conflitti e instabilità sociale. L'effetto deterrente e la punizione esemplare della pena capitale diventano ancora più importanti, sembrano dare sicurezza".

In realtà le statistiche rivelano che solo di rado chi ha intascato tangenti finisca davanti al plotone d'esecuzione. Anche quando succede, si tratta di figure di medio calibro, dirigenti provinciali gettati in pasto all'opinione pubblica per dare l'impressione che la corruzione viene combattuta senza pietà. Negli ultimi anni il più alto in grado ad aver pagato con la vita è un vice-governatore provinciale dello Jianxi, Hu Changqing, fucilato l'8 marzo del 2000 per aver preso 658.000 dollari di mazzette. Quest'anno si segnala un solo caso di pena capitale per un alto funzionario accusato di ruberie: è Wang Huaizhong, ex vice-governatore dello Anhui, la cui condanna è stata eseguita il 12 febbraio.

Sulla massa dei condannati a morte i colletti bianchi sono già oggi una minuscola eccezione. Inoltre, spiega ancora Liu Renwen, "il potere deterrente della pena capitale contro la corruzione ha dei limiti evidenti. Conosciamo dei casi in cui dopo la condanna a morte di un amministratore locale per tangenti, il suo successore si è macchiato poco tempo dopo dello stesso delitto. Questo deve metterci in allarme. La soluzione per prevenire questo genere di delitti sta nel cambiare il sistema". La migliore cura contro il giustizialismo dei cittadini, sostiene il giurista impegnato contro le condanne a morte, "è rendere pubbliche le informazioni sui numerosi errori giudiziari, illustrare la scarsa utilità pratica della pena capitale".

Forse Liu sopravvaluta la razionalità dei suoi concittadini. O sottovaluta la tensione che cova dentro la società. Pochi giorni fa nella città di Wanzhou un banale diverbio tra automobilisti è degenerato quando è intervenuta la polizia: diecimila persone hanno attaccato le forze dell'ordine e incendiato i loro automezzi, apparentemente senza una ragione, finché sono dovuti intervenire reparti anti sommossa per sedare la guerriglia. Le autorità ora minimizzano questo incidente, come le tante esplosioni improvvise di conflittualità sociale nelle campagne, fiammate di ribellione contadina contro i capi-partito che si impadroniscono delle terre comuni per venderle alle aziende o ai palazzinari. La voglia di forca probabilmente è un altro modo di dire le stesse cose. A fare le spese di questo risentimento popolare, purtroppo, non sarà la nomenklatura corrotta. Sarà Ma Weihua, che a 29 anni ha abortito su decisione di un poliziotto, perché neanche il codice penale possa sottrarre la sua vita al potere assoluto del giudice.


(28 ottobre 2004)


[SM=g27812]
Un giovane andò da un maestro e gli chiese: "Quanto tempo potrò impiegare per raggiungere lilluminazione?" Rispose il maestro: "Dieci anni". Il giovane era sbalordito. "Così tanto?" domandò incredulo. Replicò laltro: "No, mi sono sbagliato, ci vorranno venti anni". Il giovane chiese: " Perché hai raddoppiato la cifra?" Allora il maestro spiegò: "Adesso che ci penso, nel tuo caso ce ne vorranno probabilmente trenta".



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RAPPORTO SHOCK: TANTISSIMI I BAMBINI CHE COMBATTONO IN CONFLITTI ARMATI





I governi stanno minacciando i passi avanti fatti per porre fine all'uso dei bambini soldato. Lo ha denunciato la coalizione 'Stop all'uso dei bambini soldato!' presentando oggi a Londra il suo rapporto globale, la rassegna piu' ampia e completa sulla dimensione del fenomeno su scala mondiale.
In quasi tutti i principali conflitti in corso - si legge nel rapporto - i bambini sono impiegati in combattimento da parte sia delle forze governative che di quelle dell'opposizione. Vengono feriti, sottoposti a efferati abusi e assassinati.
La Coalizione accusa i governi dell'Unione Europea, del G8 e del Consiglio di Sicurezza di mancanza di leadership e chiede l'immediata applicazione di un bando sull'uso dei bambini soldato.
'I bambini dovrebbero essere difesi dalla guerra e non costretti ad alimentarla. Invece, intere generazioni vedono i loro bambini portati via da governi e gruppi armati' - ha dichiarato Davide Cavazza, coordinatore della Coalizione italiana 'Stop all'uso dei bambini soldato!'. 'Un mondo che non permetta ai bambini di combattere e' possibile, ma i governi devono mostrare la volonta' politica e il coraggio per far si' che questo avvenga, rafforzando le norme internazionali'.
Il Rapporto globale 2004 esamina le tendenze e gli sviluppi a partire dal 2001 in 196 paesi. Accanto ad alcuni miglioramenti, la situazione e' rimasta la stessa se non addirittura peggiorata in molti paesi. La fine della guerra in Afghanistan, Angola e Sierra Leone ha portato alla smobilitazione di 40.000 bambini ma oltre 25.000 sono stati coinvolti solo per quanto riguarda i conflitti della Costa d'Avorio e del Sudan.
Le opportunita' per fare passi avanti, come la creazione di un trattato delle Nazioni Unite, il crescente sostegno a tale proposta, l'avvio di programmi di smobilitazione in alcuni paesi e i procedimenti giudiziari nei confronti dei reclutatori, sono attivamente compromesse dall'operato dei governi, che vengono meno agli impegni assunti e mostrano assenza di leadership politica.
Sebbene il Consiglio di Sicurezza abbia condannato l'impiego dei bambini soldato e abbia posto sotto osservazione coloro che li utilizzano, alcuni Stati membri hanno bloccato ogni reale progresso impedendo punizioni concrete per i responsabili. Secondo la Coalizione, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe intraprendere un'azione immediata e decisiva per portare i bambini fuori dai conflitti, applicando sanzioni mirate e deferendo i reclutatori al Tribunale penale internazionale.
I gruppi armati, sia i paramilitari filo-governativi che le forze di opposizione, sono i principali colpevoli del reclutamento e dell'uso dei bambini soldato. Dal 2001 decine di gruppi hanno impiegato i bambini soldato in almeno 21 conflitti, costringendoli a combattere, addestrandoli all'uso delle armi e degli esplosivi e sottoponendoli a stupri, violenze e lavori forzati.
Ad esempio, le bambine e i bambini delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia - il principale gruppo di opposizione armata del paese latinoamericano - sono stati deferiti ai 'consigli di guerra' per infrazioni disciplinari e in alcuni casi passati per le armi da loro coetanei, a loro volta costretti a macchiarsi di sangue. Nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, i gruppi armati hanno compiuto stupri ed altri abusi sessuali contro i bambini e le bambine, costringendoli anche ad assassinare i propri familiari.
La Coalizione afferma che tutti i gruppi armati dovrebbero proteggere i bambini dai conflitti o altrimenti essere costretti a rispondere penalmente del proprio operato.
Svariati governi - tra cui quelli di Burundi, Myanmar, Repubblica Democratica del Congo, Stati Uniti d'America e Sudan - hanno mandato bambini sulla linea del fronte in almeno dieci conflitti. Altri governi, come quelli di Colombia, Uganda e Zimbabwe, hanno appoggiato formazioni paramilitari che impiegano bambini soldato. In paesi come Indonesia e Nepal i bambini sono stati usati come informatori, spie o messaggeri.
Alcuni governi - tra cui quelli di Burundi, Federazione Russa e Indonesia - hanno arrestato arbitrariamente, torturato e ucciso bambini sospettati di far parte dei gruppi di opposizione armata. Bambini palestinesi arrestati dalle autorita' israeliane sono stati torturati o minacciati per costringerli a diventare informatori.
I governi occidentali sono venuti meno all'impegno di proteggere i bambini, fornendo sostegno e addestramento ai governi che usano i bambini soldato, come quelli di Ruanda e Uganda.
La Coalizione chiede ai governi di bandire ogni forma di reclutamento di persone al di sotto di 18 anni nelle forze armate e di dare piena attuazione al trattato delle Nazioni Unite sui bambini soldato, giudicato uno strumento utile per ridurre il numero dei bambini nei conflitti.
Almeno 60 governi, tra cui quelli di Australia, Austria, Germania, Olanda e Regno Unito, continuano a reclutare legalmente bambini di 16 e 17 anni.

Fonte: Amnesty International


Un giovane andò da un maestro e gli chiese: "Quanto tempo potrò impiegare per raggiungere lilluminazione?" Rispose il maestro: "Dieci anni". Il giovane era sbalordito. "Così tanto?" domandò incredulo. Replicò laltro: "No, mi sono sbagliato, ci vorranno venti anni". Il giovane chiese: " Perché hai raddoppiato la cifra?" Allora il maestro spiegò: "Adesso che ci penso, nel tuo caso ce ne vorranno probabilmente trenta".



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