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Travaglio filosofico

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2006 20:06
13/09/2006 20:06
 
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Ho fatto queste riflessioni spinto da una serie di domande che mi faccio sempre, la domanda in sostanza è perchè c'è chi sente la fisofia come necessità e chi invece la percepisce come inutile sega mentale, e, oltre a questo, perchè la maggior parte della gente ha la seconda tendenza?
Sembra quasi che l'esperienza quotidiana e la saggezza popolare insegni a fuggire dalla filosofia, come se ci sia un'etica comune secondo cui chi medita troppo su questioni filosofiche è un egoista, secondo una logica del tipo: "pensa talmente a se stesso che per lui il mondo non è qualcosa da vivere, ma un rebus con cui divertirsi a trovarne la soluzione, per la gratificazione personale di sentirsi bravo".
Questa sensazione comune è diffusa: da che mondo è mondo ogni volta che si sente qualcuno affrontare discorsi più intellettuali del solito, gli si dice "parla come mangi", o gli si da' dello snob, in sostanza, quasi si tenda di lanciargli un senso di colpa per aver osato trattare il mondo come un banale rebus, e questo fosse mancanza di umiltà.
Questa reazione dell'ambiente in cui sta il filosofo, lo induce inevitabilmente, essendo filosofo, a chiedersi il senso di questo meccanismo.
E la conclusione a cui giunge di solito è che, in un sistema evoluzionistico, il filosofo non rappresenta un elemento utile all'evoluzione della specie, perchè la filosofia lo distoglie dalla vita pratica e quindi, se tutti fossero filosofi, nessuno farebbe le cose pratiche e l'umanità non avrebbe futuro.
Ma è possibile trovare una giustificazione all'inclinazione filosofica che le dia dignità e non sia la solita banale consolazione tautologica che "la filosofia è pur sempre importante perchè è importante fare filosofia?".
Questa è la classica consolazione di chi retoricamente si definisce tollerante e, incontrando un filosofo, lo lusinga dicendogli che la sua passione filosofica è una bella cosa, ma poi, nella quotidianità, tende a non "sporcarsi" con la filosofia, a prendere in giro chi si fa le pippe mentali, mentre poi, quando è costretto ad essere "politicamente corretto" per motivi di educazione, lusinga l'eventuale intellettuale che trova nella sua strada ma solo retoricamente.
Insomma, pare proprio che non si riesca a trovare una teoria sociologica che spieghi il senso dell'interesse filosofico, dal momento che questo, nella quotidianità, si traduce sempre in una conflittualità con il mondo.
Sembra anzi che la natura dia a questa minoranza l'inclinazione filosofica apposta perchè siano perseguitati dai "normali".
La domanda allora è: "perchè io ho questa perversione? Perchè con me il tabù delle pippe mentale non funziona, non mi induce a accantonare la passione filosofica? Che ruolo ha nella natura uno come me?".

Allora ecco una risposta suggestiva con cui ho tentato di risolvere questo dilemma.

Cerchiamo di trovare un'analogia tra un sistema evoluzionistico e l'inclinazione filosofica.
Secondo il modello evoluzionistico la natura pone una specie (per esempio l'uomo) in un ambiente scomodo, e la specie, sentendo questa scomodità, sviluppa nel tempo nuove mutazioni che le permettono di adattarsi sempre meglio.
Per costruire l'analogia con questo modello, consideriamo come specie ancora la specie umana.
La natura mette la specie umana in un ambiente scomodo, ma, nell'analogia, l'ambiente, invece di essere uno spazio fisico, è uno spazio mentale.
Se nel modello darwiniano la scomodità sono cose come temperatura troppo alta (o troppo bassa) e pericoli naturali vari, nel modello analogico la scomodità è il "travaglio filosofico": cioè una specie di stimolo innato a cercare il senso dell'essere. La scomodità naturale consiste nell'impossibilità di avere le risposte ai quesiti filosofici.
Nel modello darwiniano ci sta una minoranza di elementi della specie che sviluppa un mezzo che gli consente di superare, in parte, la scomodità naturale (per esempio alcune giraffe allungano il collo per raggiungere le foglie degli alberi alti).
Chi non ha sviluppato questi mezzi soccombe per la selezione naturale.
Nel modello analogico, le giraffe che allungano il collo sono quella minoranza di uomini che, invece di interrompere la ricerca filosofica, decidono di riconoscerne la dignità.
Le persone che invece scelgono di accantonarla con l'alibi che siano tutte seghe mentali, in questo modello, non rappresentano gli elementi più forti, ma i più deboli, perchè, con questa scelta, loro non fanno niente per superare il "travaglio filosofico" innato, perchè rinunciano a cercare le risposte, e quindi, nel sistema analogico, rappresentano elementi involutivi, perchè non superano la scomodità naturale che abbiamo definito "travaglio filosofico".

Così, in questo sistema, è già stata fatta la prima selezione naturale: i più forti (quelli che si fanno le "pippe mentali") sopravvivono, mentre i più deboli (quelli che ritengono la filosofia alla stregua di un banale rebus, se non pippa mentale) non sopravvivono (in questo sistema).

Ora, mettiamo che di questi forti, la maggior parte, avendo fatto il passo evolutivo di riconoscere dignità alla filosofia, si fermano qui, hanno riconosciuto che la filosofia è importante, ma non usano, nella pratica, metodi seri per coltivarla (è il caso per esempio di chi sguazza in meditazioni filosofiche a tutto spiano ma senza sentire la necessità di informarsi sulle cose scoperte, senza conoscere Kant, o è il caso per esempio di chi fa riflessioni filosofiche su spazio e tempo senza aver mai letto un rigo sulla relatività di Einstein e le implicazioni filosofiche, oppure è il caso di chi ancora si meraviglia dei paradossi di Zenone sul movimento senza sapere che si è scoperto il concetto di serie, e che quindi i paradossi di Zenone sono solo paradossi apparenti).
Oltre a questa maggioranza, c'è poi una minoranza che si distacca anche da questi "forti" e che decide che, per vincere il "travaglio filosofico" naturale, non basta allenare la mente con profonde meditazioni filosofiche, ma bisogna anche dare un metodo razionale a questa ricerca (è il caso per esempio di chi non si accontenta di incantare i serpenti con discorsi filosofici sulla sua concezione di etica, di estetica, di aldilà o di aldiqua, ma sente la necessità di dare un criterio logico al proprio metodo).
E' chiaro che, stavolta, è la prima categoria a rappresentare la classe più debole, perchè, pur riconoscendo la dignità della filosofia, non sente la necessità di dare un criterio empirico alle proprie riflessioni, di conseguenza una filosofia così coltivata non avrebbe futuro, perchè morirebbe nel relativismo soggettivo e nella mancanza di empirismo.
Invece la seconda classe è più forte, perchè ha i mezzi necessari per superare ancora meglio il "travaglio filosofico" naturale.
Per esempio, un filosofo che si interroga sul tempo, non troverebbe le spiegazioni del tempo fornite dalla relatività generale di Einstein, e quindi non riuscirebbe a superare il dilemma del tempo: resterebbe in lui un "travaglio filosofico" che non potrà mai superare a causa della sua non disponibilità a studiare una teoria della fisica.
Al contrario un filosofo che sente la necessità di aggiornarsi avrà delle illuminazioni sul concetto di tempo: avrà superato il "travaglio filosofico".
La prima classe quindi soccombe, e la seconda sopravvive.

In questo sistema a struttura evoluzionistica, è chiaro che la situazione si inverte rispetto al sistema classico di tutti i giorni: non sono più i filosofi ad essere gli elementi involutivi della specie, e i "normali" ad essere gli elementi evolutivi, ma il contrario, e a provare il "travaglio" non sono più i filosofi (che provano il travaglio di sentirsi isolati dal mondo) ma i "normali", che, non coltivando la filosofia, provano il travaglio filosofico.

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