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il mio commiato

Ultimo Aggiornamento: 16/03/2005 01:25
14/03/2005 16:19
 
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Obino
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odio gli addii

Non ho parole...rimango allibito sempre più.

Non comprendo la morte e gli addii e non so che differenza ci sia.
Personalmente preferirei prendere un pugno nello stomaco che non vedere o sentire più una persona.

Scusami Luna ma non capirò mai...





Non c’è nulla da comprendere, mio dolce Morpheus.
Non puoi comprendere la morte, la puoi solo accettare.
Accetta con gioia ciò che la vita ti offre, accetta con forza e coraggio le prove e le difficoltà.

Io proseguo il cammino sebbene potrei restare a raccontare ancora molte cose e sentirne da voi una moltitudine, potrei restare a condividere pensieri ed emozioni senza neppure vedervi in viso. Potrei restare qui dove mi sento compresa e accettata. Qui dove mi definirei un ruolo.
Ma quella che tu chiami “morte dell’ego” e io consapevolezza non è forse l’abbattimento di qualsiasi ruolo predefinito? La consapevolezza, la morte dell’ego non sono parole roboanti che usiamo per ciò che ci aggrada, non sono un belletto con cui ci adorniamo a nostro piacimento, non sono qualcosa da utilizzare per eliminare le incrostazioni che ci appesantiscono e basta.
Non si tratta di estetica ma di essenza e l’essenza è in tutto. Nel bene e nel male.
Bisogna guardare, vedere, ascoltare, andare al centro. Di noi stessi, delle cose migliori e di quelle peggiori.

Quando dico coltivare la pazienza, esercitare la volontà e la responsabilità, quando dico rialzarsi dopo ogni caduta e riprendere il cammino dopo ogni sosta, quando dico che i guerrieri camminano da soli non getto lì una frase lirica o ad effetto.
Quando parlo del prezzo che dobbiamo pagare se scegliamo una via, mi riferisco anche ai commiati, alle separazioni, alla solitudine.
Un riparo, una sosta, un’oasi meravigliosa devono essere tali, circoscritte al loro significato. La sensazione di benessere e accoglienza che l’oasi lussureggiante ci dona ci può far procrastinare la partenza, un giorno dopo l’altro, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, può avvolgerci fino a convincerci che stiamo bene lì e che non abbiamo più motivo di muoverci. Sentendoci protetti e al caldo potremmo non realizzare che abbiamo congelato il viaggio, sicuri invece di andare avanti. Ma rischiamo di muoverci sul posto, di “muoverci da fermi”.
E tutte queste sensazioni belle e positive potrebbero illuderci che siamo arrivati - magari non a livello cosciente - che non ha senso rientrare nella tempesta che sibila tutt’intorno quando abbiamo trovato un posto tranquillo e sereno. Che non ha senso affrontare altre ostilità se qui siamo compresi e benvoluti.

Stringi il pugno e non tratterrai che pochi granelli, apri la mano e tra le tue dita passerà tutto il deserto.

Non è una frenetica ricerca di qualcosa di più o di meglio, non è un timer caricato che non mi consente di restare più di un tot, non è incapacità di fermarsi.
A volte devi aprire le mani, lasciare andare le cose, anche per farle tornare, partire dai luoghi ove ti senti al sicuro per rimetterti in gioco, per non finire con il compiacere te stesso; se e quando tornerai sarai cresciuto un poco di più.

Consentire alla vita di fluire, come è nella sua natura.

Si dice che nel momento in cui uno yogi raggiunge le vette spirituali riceva dei doni: preveggenza, ubiquità e così via. Nel momento in cui riceve queste facoltà le deve abbandonare, perché esse non sono un fine ma solo un mezzo.
La meditazione, lo yoga, i viaggi astrali non sono un fine ma uno strumento prezioso che ci è concesso per progredire.
Io sono grata e felice di aver condiviso tanto con voi e lasciarvi nel rimpianto e nel dispiacere sarebbe inquinare questo splendido incontro, a cui devo un passo del mio percorso.
Addio è così struggente e lacrimevole! Preferisco un sorriso smagliante e un po’ sornione.
La vita intreccerà di nuovo le nostre strade, quando vorrà, e sarà una gioia.
Vi abbraccio tutti.

Con affetto

Luna Noctiluca


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Ci siamo separati la sera stessa, con una stretta di mano che valeva più di un abbraccio: qualcuno s’imbarcava, qualcuno restava. Il viaggio proseguiva.
Avevamo condiviso e assaporato con gioia quei momenti ma era giunta l’ora di riprendere la strada, ognuno la propria.
Così succede a chi è in cammino. Talvolta le strade s’incrociano e per un tratto si cammina l’uno al fianco dell’altro, ma quando le strade divergono bisogna salutarsi con la stessa gioia che ha dato il trovarsi, senza rimpianti, senza indugio, perché restare vuol dire fermarsi.
Un viaggiatore sa quando è ora di proseguire.
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