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Uno dei sogni più intensi e belli della mia vita

Ultimo Aggiornamento: 28/02/2015 16:38
24/02/2015 14:45
 
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Non c'era una vera sezione corretta in cui postare ma voglio davvero postare comunque, quindi facciamoci andar bene questa

Mi trovo con mia madre e mio padre in quella che sembra una grande pineta, in particolare in un punto un po' scosceso che permette quindi di poggiare la schiena per terra e vedere comunque davanti, come uno schienale naturale. Mia madre si trova stesa così, io le gironzolo intorno e parliamo della quantità immane di insetti e animaletti di ogni tipo che popola quella zona.
Lei dice che tanto dobbiamo abituarci a tutta quella fauna, come fosse implicito che vivremo lì la nostra vita; non è una sorpresa per me, lo so. Adesso so anche che quel posto è molto povero tant'è che, nonostante l'ambiente non la ricordi, lo classifico come una zona africana estremamente povera dove è difficile procacciarsi da bere. Siamo circondati da indigeni di questo posto, è come se ci fossimo innestati dentro questa comunità. Loro sembrano indiani d'America/centro americani. Mentre mi preoccupo perché l'ombra non sta più coprendo mia madre e vorrei darle dell'acqua da bere, arriva un indiano e, incoraggiando un altro, comincia a cantare a mia madre una canzone tribale. E' per festeggiare il suo compleanno!
Questo gesto segna la nostra definitiva integrazione in questa tribù. Cominciamo tutti a cantare ad alta voce questa canzone che mischia i suoi toni al "tanti auguri". Cominciamo ad andare in giro, saltare e cantare, io sono euforico, è come se mi stessi liberando di qualcosa, finalmente. Canto e mentre spingo con potenza la mia voce fuori dal torace mi sento sempre meglio, mi sento parte di quello che sto vivendo.
Riuniti tutti in questo gruppo deambulante di canti e balli che abbiamo formato, sempre nello spirito di gioiosa festa, usciamo dalla zona semi-ombrosa della pineta e cominciamo a correre velocissimi a piedi nudi nella spianata brulla e quasi desertica dell'America che ci circonda. Corriamo liberi, liberi, e per la prima volta in vita mia mi sento veramente libero. Piangerei, se solo mi importasse di soffermarmi sul mio stato d'animo, ma non mi importa davvero, l'unica cosa che attraversa la mia mente è la bellezza di quello che ho intorno e una sensazione: sono libero e felice.
Corriamo velocissimi come se quello fosse il compito della nostra esistenza, un modo per onorare la magnifica terra che abbiamo intorno e la semplice libertà che ci ha donato. Salto, in lontananza si vede Monument Valley. E' mirabile e tutto è fantastico, più di quanto il mio cuore possa sopportare e le mie parole possano elaborare. La felicità è così tanta da essere struggente e sento di toccare per un attimo l'aspetto soprannaturale del mondo e dell'esistenza, della libertà e di quella situazione.
Continuo a saltare quando posso, e soprattutto quando incontro dei dossi naturali, fungono da rampa. Salto sempre più in alto, Monument Valley si avvicina sempre più ma è così lontana e così enorme da sembrarmi sempre alla stessa distanza. Durante i salti la posso ammirare meglio, ne sono catturato. Mentre la guardo, ad un certo punto, comincio a chiedermi se questo sia un sogno. No, mi rispondo, non è un sogno.
Senza fermarmi, mi giro un attimo a guardarmi dietro: siamo ancora tutti e c'è uno di noi che sta correndo spingendo un passeggino (???). Proprio in quel momento il passeggino prende un dosso e vola in avanti, ma fortunatamente ricade dritto sulle sue ruote. Continua però a rimbalzare e, ancora, a cadere sulle ruote; all'ennesimo salto è evidente che la caduta non sarà fortunata come le precedenti e che il bambino dentro è a rischio quindi, forte della straordinaria velocità che ho e di trovarmi nella direzione verso la quale il passeggino sta volando, faccio un'inversione di marcia e corro per cercare di prenderlo al volo. Non ci riesco, ma in realtà non c'è nulla di tragico in tutto ciò.
La corsa continua sullo stesso fantastico tenore di prima fino a quando, sulla sinistra, vedo un'esplosione sulla cima di una piccola altura (tra i 50 e i 100 metri) distante poche centinaia di metri. Da quest'esplosione sembrano innalzarsi colonne di pietra (alla Stonehenge) e in breve tempo, senza che sia chiaro come, appena dietro di noi troviamo eretto un possente muro di pietra grezza alto almeno un centinaio di metri. Sul muro sono appostati uomini con dei fucili che ci sparano. La corsa diventa una fuga caotica, ci disperdiamo tutti cercando di non farci colpire e di trovare un riparo, ma siamo in trappola. C'è una sorta di consapevolezza che in qualche modo possiamo uccidere qualcuno degli invasori, pur sapendo che sono troppi. In quel momento un carro, sullo stile di quelli delle divinità greche, trainato da un possente cavallo bianco colpisce una parte del muro di pietra facendo prendere fuoco uno degli invasori e aprendo un piccolo passaggio. Per qualche motivo, comunque, non possiamo scappare per di lì.
Sto correndo assieme ad una manciata di miei compagni cercando riparo. Arriviamo in una zona di corridoi, cunicoli e stanze naturali scavati nella pietra, loro prendono una via ma io trovo un anfratto più nascosto e mi ci rifugio dentro. Qui trovo una ragazza, anche lei si è nascosta qui. Insieme facciamo qualche passo addentrandoci in questo ambiente di corridoi e stanze variamente articolati nella pietra e subito vediamo, qualche decina di metri più avanti, dei bambini indiani che giocano a pallone. Capiamo che l'ambiente almeno qui è tranquillo.
Andiamo nella loro direzione. Nell'ambiente/stanza in cui ci ritroviamo c'è una sorta di piccola volta di pietra, altezza uomo, quasi come fosse una grande finestra, che lascia vedere fuori. L'ambiente interno è però separato da quello esterno da una luce blu verticale e liquida che occupa lo spazio sotto la volta. Fuori ci sono delle persone, sembra di vedere alcune guardie. La ragazza ha paura di avvicinarsi perché teme di essere vista, io ho capito che loro da fuori non possono vederci; ci avviciniamo a scorgere ciò che si vede fuori da quel punto. Vediamo una città, un paese, potrebbe sembrare un paese centro/sud americano tra il 1800 e il 1900. La luce fuori è scura, da dove ci troviamo si scorge una strada lastricata, le mura esterne di un basso palazzo con una finestra a sbarre, un leggero viavai.
Capisco che stiamo guardando il futuro.
E' ora di tornare alla complicata situazione che ci attende fuori da quel riparo di pietra. Ci avviciniamo all'uscita dell'ambiente nel quale ci eravamo intrufolati. Abbiamo entrambi un'arma, una specie di fucile moderno e molto corto. Questo non mi fa sentire affatto più sicuro: siamo ancora pesci piccoli, piccolissimi, in una guerriglia popolata da un grande branco di pesci più forti.
Mentre stiamo tornando fuori vengo svegliato




Esco stordito da questo sogno e vorrei allegargli questa poesia in musica

E' stato pazzesco. In vita mia non mi sono mai sentito libero fino al midollo come durante quella corsa, mai. Con la gioia travolgente e più grande di quanto si possa comprendere, che ha cominciato a crescere a partire da quel canto liberatorio così fisicamente e concretamente pieno di energia. Ero semplicemente da tutta un'altra parte, fuori dal mondo
[Modificato da t.teo 24/02/2015 15:00]




"Devi lasciarti tutto dietro, Neo. Paura, dubbio, scetticismo. Sgombra la tua mente."
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