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IMMERSI NELLA CONSAPEVOLEZZA DELLA VITA...

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2004 00:32
08/12/2004 01:13
 
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Per coloro che vogliono carpire,
Per coloro che vogliono osservare,
Per coloro che vogliono vivere e morire...

propongo dei testi che se letti come specchio di noi stessi, riusciremo a elevarci verso quella spiritualità necessaria alla comprensione del tutto...

dedicato a STEFANO

1° TESTO
L'uomo è Dio. Lo yoga della conoscenza e la natura dell'universo
di Jayan Walter - Ed. Tempolungo dal capitolo "L'oceano del cuore", pag. 269

Quando ci tuffiamo nell’oceano del cuore la vita diviene un flusso d’amore ed estasi infinita. Qualsiasi cosa facciamo, anche la più semplice e umile, diventa fonte di nuova gioia, espressione della creatività di Dio. Come i bambini, ma con la consapevolezza dei grandi, ci affacciamo al mondo e ne scopriamo il volto nascosto, e ogni volta è un’occasione di meraviglia. Non c’è più agire, non vi è più fare, ma soltanto “fluire”, senza alcun peso. Siamo tutt’uno con la corrente della vita, non ci sono più resistenze né ostacoli, né impedimenti. Non viviamo più nella mente, nei pensieri, nelle immaginazioni. Non c’è più analisi, non vi è divisione; la razionalità e la logica si sono sciolte nell’oceano di nettare del cuore. Se agiamo o siamo fermi, se abbiamo delle esperienze particolari oppure non percepiamo nulla, se c’è una fonte di piacere oppure no, siamo sempre totalmente appagati e contenti. Non dipendiamo più dalle circostanze esterne. Siamo completi in noi stessi.
Questa completezza si estende dal cuore a tutto l’universo, a tutti gli esseri viventi. Anche se Dio è infinito ed è dappertutto, Egli ha costruito la sua dimora nel nostro cuore. Ed il cuore è tutt’uno con la mente: la dimora del Sé va dal cuore al centro della testa, al sahasrara, il loto dai mille petali. L’Infinito è racchiuso in un singolo punto, la perla blu della Coscienza, proprio come in ogni particella della creazione vi è tutto l’Infinito.
In questo stato di completa libertà, agiamo spontaneamente in armonia con le leggi della natura, sosteniamo l’universo che ci circonda ed esso, a sua volta, sostiene ogni nostra azione. Quando abbiamo bisogno di cibo, qualcuno ce lo dà, non dobbiamo più preoccuparci delle nostre necessità: l’infinita energia cosmica è al nostro servizio! Non vi è più alcuna forma di dolore, né fisico né mentale, non ci manca niente, poiché noi siamo il Tutto, la totalità dell’esistenza.
Viviamo sempre nell’estasi di Dio.
Quando raggiungiamo lo stato di Illuminazione, ci accorgiamo che già da prima eravamo in quello stato, anzi, che non c’è mai stato “né un prima né un dopo”, ma che è tutto unito, tutto è “ora e adesso”, che di fatto siamo sempre Infinito. Allora ci meravigliamo perché vediamo gli altri che non provano la nostra stessa estasi, che continuano a dibattersi nelle sofferenze e nelle limitazioni.
Come fa l’uomo a non essere sé stesso?
Come fa a correre dietro ai fantasmi della vita e dei piaceri mondani quando in lui vi è il sommo di tutti i piaceri?
In realtà, in questo stato, scompare ogni distinzione tra “mondano e spirituale”, tra “fuori e dentro”, tra infinito e limitato, tra eterno e mortale; non c’è più né spazio né tempo, né un sentiero percorso né una meta raggiunta.
Noi siamo e basta.
Viviamo l’eterno presente.

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Il piccolo libro sulla morte di VanLag
- raccolta di pensieri sulla morte -



Nisargadatta Maharaji

Interrogante: La mia morte si avvicina.
Risposta: Il tuo corpo è figlio del tempo, non tu. Tempo e spazio sono nella mente non ti legano.

I: Ma viene il giorno che lo spettacolo è finito; L'uomo e l'universo devono finire.
R: Come il dormiente cade nell'oblio e si desta ad un nuovo mattino, o morendo si affaccia ad una nuova vita, così i mondi della paura e del desiderio si addensano e si dissolvono. Ma il testimone universale, il Sommo Se, non dorme e non muore. Il grande cuore batte in eterno, e ad ogni battito emerge un nuovo mondo.

I: Non vi va nemmeno di vivere allora?
R: Vivere, morire: parole vuote! quando mi vedi vivo sono morto. Quando mi pensi morto sono vivo. Bella confusione.

I: Quando un uomo muore cosa accade esattamente?
R: Niente. Qualcosa diventa niente. Niente era, niente resta.

I: Spesso si muore volentieri.
R: Solo quando l'alternativa è peggiore della morte. Ma questa disponibilità a morire promana da una fonte sane: La volontà di vivere che è più profonda della vita stessa. Essere vivi non è la condizione ultima; c'è qualche cosa al di là, molto più esaltante, che non è ne l'essere ne il non essere. È uno stato di pura consapevolezza, oltre i confini dello spazio e del tempo. Quando cessi di credere di essere il tuo corpo-mente, la morte perde la sua terribilità, diventa parte della vita.
La gente teme di morire perché non sa cos'è la morte. Il sapiente è già morto, e ha visto che non c'era d'avere paura. Non appena conosci il tuo essere non temi più. La morte da libertà e potere. Per essere nel mondo devi morire al mondo. Allora l'universo è tuo, diventa il tuo corpo, un espressione ed uno strumento.

I: Cosa muore alla morte?
R: L'idea "io sono il corpo". Il testimone non muore.

I: Ma per l'uomo comune la morte fa differenza.
R: Ciò che egli pensava di essere prima della morte, continua dopo. La sua autoimmagine sopravvive.

I: Invecchiamo. La vecchiaia non è piacevole: acciacchi, dolori, debolezza, e la fine che si approssima. Come si sente un saggio da vecchio?
R: Più invecchia più crescono in Lui la felicità e la pace. Dopo tutto sta tornando a casa, come un viaggiatore che, prossimo all'arrivo raccoglie il bagaglio. Lascia il treno senza rimpianto.

I: Non avete paura di morire?
R: Ti racconterò come è morto il mio maestro. Dopo avere annunciato che la sua fine era prossima, smise di mangiare senza modificare il ritmo della vita quotidiana. All'undicesimo giorno, nell'ora della preghiera - stava cantando e batteva vigorosamente le mani - all'improvviso morì -tra un battere e un levare -, come una candela subito spenta. Non temo la morte, perché non ho paura della vita. Vivo una vita felice e morirò una morte bella. È una disgrazia nascere, non lo è morire! Tutto dipende da come guardi.

I: Supponiamo che vi giunga la notizia che sono morto. Come reagireste?
R: Sarei molto felice che sei tornato a casa. Davvero contento dal saperti fuori da questo assurdo.

I: Si ha molta paura della morte.
R: Il realizzato non teme nulla. Ma ha compassione dell'uomo che teme. Nascere, vivere e morire, è in fin dei conti naturale. Ma avere paura, no. È giusto dare attenzione all'evento.

I: Immaginate di essere ammalato: febbre alta, dolori, tremiti. Il medico vi dice che il vostro stato è serio e che vi restano pochi giorni di vita. Quale sarebbe la vostra prima reazione?
R: Nessuna. Come il bastoncino di incenso si consuma, così il corpo muore. Davvero è una cosa di pochissima importanza. Quello che conta è che non sono il corpo ne la mente. Io sono.

I: I vostri famigliari sarebbero disperati. Che cosa direste loro?
R: Ciò che si dice in questi casi: non temete, la vita continua, Dio avrà cura di voi, saremo presto di nuovo insieme; e cose del genere. Per mè tutta la faccenda, con lo scompiglio che comporta, è priva di senso, perché non sono l'entità che si immagina viva o morta. Non sono nato e non morirò. Non ho niente da ricordare o da dimenticare.

I: Cosa ne pensate delle preghiere per i defunti.
R: Prega sempre per loro. Lo gradiscono tanto. Ne sono lusingati. Il realizzato non ha bisogno delle tue preghiere. Egli è la risposta alle tue preghiere.

I: La mia domanda all'inizio riguardava lo stato dell'uomo dopo la morte. Quando il corpo è dissolto che ne è della coscienza? I sensi restano o cessano? E se cessano cosa resta della coscienza.
R: I sensi non sono che dei modi di percezione, grossolani e sottili. Alla morte i primi scompaiono e ne emergono altri più sottili. Dopo la morte la coscienza si assottiglia e si raffina. La gamma delle percezioni indotte dai sensi svanisce insieme ad essi.
In certi casi la morte è la cura migliore. Una vita può essere peggiore della morte, che solo di rado è un'esperienza spiacevole, nonostante le apparenze. Quindi abbi pena del vivo mai del morto.

I: Quando il vostro corpo morirà, resterete?
R: Nulla muore. Si immagina che il corpo esista in realtà non è.

I: E la morte libera?
R: Chi si crede nato teme molto la morte. Per chi si conosce è un lieto evento.
.....Per me la morte non è una calamità, così come la nascita di un bambino non è una gioia. Il bambino va verso i guai, il morto ne è fuori. L'attaccamento alla vita è attaccamento al dolore. Amiamo ciò che ci fa soffrire. Tale è la nostra natura. Per me la morte sarà un momento di giubilo, non di paura. Piangevo quando nacqui, e morirò ridendo.

Dunque non hai paura della morte!

I: Non della morte ma di morire. Immagino che sia una esperienza dolorosa e brutta.
R: Che ne sai? Potrebbe anche essere bella e piacevole. Quando sai che la morte tocca al corpo e non a tè, ti limiti ad osservare come esso ti cada di dosso via via, come un abito smesso.

I: So molto bene che la mia paura della morte è legata ad una inquietudine estranea alla conoscenza.
R: Gli uomini muoiono di momento in momento, la paura e gli spasimi della morte incombono sul mondo come una spessa nuvola. Niente di strano che anche tu abbia paura. Ma quando sai che solo il corpo muore e non la continuità della memoria in cui è riflesso l"Io sono" la paura svanisce.

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Anthony De Mello (1931-1987)
da "Messaggio per un'aquila che si crede un pollo" PIEMME Editore

Quando si è intrappolati dalle etichette, che valore hanno queste etichette in relazione all’”io”? Potremmo dire che l’”io” non è rappresentato da alcuna delle etichette che noi gli attribuiamo? Le etichette appartengono al “me”. Quello che cambia continuamente è il “me”. L’”io” cambia? L’osservatore cambia?
Il fatto è che, quale che siano le etichette che vi vengono in mente (eccetto, forse, quella di essere umano), le dovreste applicare al “me”. L’”io” non è niente di tutto questo.
Dunque, quando uscite da voi stessi e osservate il “me”, non vi identificate più con il “me”. La sofferenza esiste dentro il “me”, e così, quando identificate l’”io” e il “me”, inizia la sofferenza.
Poniamo che abbiate paura, o un desiderio, o delle ansie. Quando l’”io” non si identifica con il denaro, o il nome, o la nazionalità, o le persone, o gli amici, o qualsiasi qualità, l’”io” non è mai minacciato. Può essere molto attivo, ma non è minacciato.[...] in qualche modo, avete detto a voi stessi: “Il benessere dell’”io”, quasi l’esistenza stessa dell’”io” sono legati a quel desiderio”. La sofferenza è dovuta unicamente alla mia identificazione con qualcosa, che sia al mio interno o al mio esterno…quando entrano in gioco i sentimenti negativi, si perde la testa. Entra in scena il “me”, e rovina tutto. Dove prima c’era un problema da risolvere, adesso ce ne sono due.
[...]
Quello che uccide la sensibilità ciò che molti chiamerebbero il sé condizionato: quando ci si identifica a tal punto con il “me” che l’eccesso di “me” impedisce di vedere le cose in modo oggettivo, con distacco.
E’ molto importante che, quando si entra in azione, si sia in grado di vedere le cose con distacco. Ma le mozioni negative impediscono di avere un atteggiamento di questo tipo [...]. Il dolore è il sintomo del fatto che ho condizionato la mia felicità a questa cosa o a questa persona, almeno fino a un certo punto. Siamo talmente abituati a sentirci dire il contrario che ciò che affermo appare disumano, non è vero?
Sta di fatto però che è quanto ci hanno detto tutti i mistici in passato. Non sto affermando che il “me”, il sé condizionato, non ricada talvolta nei propri schemi usuali. E’ il modo in cui siamo stati condizionati. La domanda è però se sia concepibile vivere una vita in cui si sarebbe così totalmente soli da non dipendere da nessuno.
Tutti noi dipendiamo gli uni dagli altri per ogni genere di cose, non è vero? Dipendiamo dal macellaio, dal fornaio, dal fabbricante di candele. Interdipendenza. Benissimo! Abbiamo organizzato la società in questo modo e assegniamo funzioni diverse a persone diverse per il benessere di ciascuno, così da funzionare meglio e vivere in modo più efficiente – o almeno speriamo sia così. Ma dipendere da un altro psicologicamente - dipendere da un altro emotivamente – cosa comporta? Significa dipendere da un altro essere umano per raggiungere la felicità.
Pensateci sopra. Perché se lo fate, la prossima cosa che farete, ne siate coscienti o meno, sarà esigere che altre persone contribuiscano alla vostra felicità. Poi ci sarà un ulteriore gradino – paura, paura della perdita, paura dell’alienazione, paura di essere respinti, controllo reciproco.

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JIddu Krishnamurti

"...se hai intenzione di meditare, non sarà meditazione ... se assumi deliberatamente un atteggiamento, una posizione, per meditare, allora la meditazione diventa un giocattolo, un trastullo della mente. Se decidi di districarti dalla confusione e dall'infelicità della vita, allora diventa un'esperienza dell'immaginazione — e questa non è meditazione. La mente conscia o la mente inconscia non debbono aver parte in essa; non devono neppure essere consapevoli dell'estensione e della bellezza della meditazione. Nella totale attenzione della meditazione non c'è alcuna conoscenza, alcun riconoscimento, né il ricordo di qualcosa che sia già avvenuta. Il tempo e il pensiero sono totalmente cessati, poiché sono il centro che limita la propria visione ... la meditazione non è la semplice esperienza di qualcosa al di là del pensiero e del sentimento di ogni giorno, né la ricerca di visioni e beatitudini ... La meditazione non è fuga dal mondo; non è un isolarsi e chiudersi in sé, ma piuttosto la comprensione del mondo e delle sue vie ... Meditare è deviare da questo mondo ... Dalla negazione nasce lo stato affermativo. Il semplice ottenere l'esperienza, o vivere nell'esperienza, nega la purezza della meditazione. La meditazione non è un mezzo per un fine ... La meditazione è la cessazione del pensiero ... Tutto ciò che il pensiero formula ha in sé il limite dei suoi confini, il pensiero ha sempre un orizzonte, la mente meditativa non ne ha, l'uno deve cessare perché l'altro possa essere. La meditazione apre la porta ad una vastità che trascende ogni immaginazione o congettura. Il pensiero è il centro intorno al quale c'è lo spazio dell'idea, e questo spazio può essere allargato da ulteriori idee. Ma tale allargamento mediante stimoli di ogni sorta non è la vastità in cui non c'è alcun centro. La meditazione è la comprensione di questo centro e quindi il suo superamento. Il silenzio e la vastità vanno insieme. L'immensità del silenzio è l'immensità della mente in cui non esiste un centro. La percezione di questo spazio-silenzio non procede dal pensiero. Il pensiero percepisce soltanto la sua proiezione, e il riconoscimento di essa è il suo confine ... La meditazione non è un'attività dell''isolamento, ma l'azione nella vita quotidiana che esige cooperazione, sensibilità ed intelligenza. Senza il fondamento di una vita retta la meditazione diventa una fuga e non ha alcun valore. Una vita retta non è l'obbedienza alla morale sociale, ma la libertà dall'invidia, dalla cupidigia e dalla ricerca del potere — che generano inimicizia. La libertà da questi mali non passa attraverso la consapevolezza che di essi si acquista mediante l'autoconoscenza. Senza conoscere le attività del sé la meditazione diviene esaltazione dei sensi e perde ogni significato ... La meditazione non è una continuazione o una espansione dell'esperienza. La meditazione, al contrario, è quella completa inazione che è la cessazione di tutta l'esperienza. L'azione dell'esperienza ha le sue radici nel passato ... la meditazione è lo svuotarsi dell'esperienza, è la totale inazione che proviene dalla mente che vede ciò che è, senza l'ostacolo del passato né del testimone che vive legato alla memoria del passato ... Se non c'è meditazione, sei come un cieco in un mondo di grande bellezza, luci e colori ... Meditare non è ripetere parole, sperimentare visioni o coltivare il silenzio. Questa è una forma di autoipnosi. Meditare non è chiudersi in un pensiero ideale, nell'incanto del piacere. Se tu dici: "Oggi comincerò a controllare i miei pensieri, a sedere quieto nella posizione del meditare, a respirare regolarmente" — allora sei preso nei trucchi con cui inganniamo noi stessi. La meditazione non è l'essere assorti in qualche idea o immagine grandiosa ... La mente meditativa è vedere, osservare, ascoltare senza la parola, senza commento, senza opinione — attentamente e costantemente — il movimento della vita in ogni suo rapporto; allora sopraggiunge un silenzio che è negazione del pensiero, un silenzio che l'osservatore non può richiamare. Se ne facesse esperienza, riconoscendolo, non sarebbe quel silenzio. Il silenzio della mente meditativa non è nei confini dell'individuabilità, e non ha frontiere ... Una piccola mente squallida e immatura può avere, ed ha, visioni ed esperienze che riconosce secondo il proprio condizionamento ... La meditazione non appartiene a gente come questa, né ai guru. Non è per il cercatore, perché costui trova ciò che vuole, e il conforto che ne deriva è la morale delle sue paure. Per quanto faccia, l'uomo di credenza o di dogma non può entrare nel regno della meditazione. La meditazione necessita della libertà — che è totale negazione della morale e dei condizionamenti sociali — la libertà viene prima della meditazione, ne rappresenta il primo movimento. Non è una pratica pubblica dove in molti si uniscono e offrono preghiere. Sta a sé ed è sempre al di là dei confini della condotta sociale. Infatti la verità non è nelle cose del pensiero o in ciò che il pensiero ha costruito e chiama verità. La negazione totale di questa struttura del pensiero è la realtà della meditazione. La meditazione è un movimento incessante. Non si può mai dire che si sta meditando, o dedicare un periodo di tempo alla meditazione. La meditazione non è ai tuoi ordini. La sua benedizione non ti viene perché conduci una vita per così dire sistematizzata o segui una particolare routine o morale. Viene solo quando il tuo cuore è veramente aperto. Non aperto dalla chiave del pensiero, non reso sicuro dall'intelletto, ma quando è aperto come il cielo senza nuvole; allora viene senza che tu lo sappia, senza che tu la chiami. Ma non puoi mai custodirla, possederla, adorarla. Se cercherai di farlo, non verrà più, ti eviterà. Nella meditazione tu non sei importante, non occupi un posto; la sua bellezza non sei tu, la sua bellezza è in sé. E non puoi aggiungervi nulla. Non devi spiare dalla finestra sperando di prenderla di sorpresa, né sederti in una stanza buia ed attenderla; viene soltanto quando tu non sei là, e la sua benedizione non ha continuità..."






[Modificato da emilgollum 08/12/2004 1.14]

Un giovane andò da un maestro e gli chiese: "Quanto tempo potrò impiegare per raggiungere lilluminazione?" Rispose il maestro: "Dieci anni". Il giovane era sbalordito. "Così tanto?" domandò incredulo. Replicò laltro: "No, mi sono sbagliato, ci vorranno venti anni". Il giovane chiese: " Perché hai raddoppiato la cifra?" Allora il maestro spiegò: "Adesso che ci penso, nel tuo caso ce ne vorranno probabilmente trenta".



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21/12/2004 00:32
 
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[Modificato da shimoda 07/02/2005 20.45]

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