00 11/05/2007 19:34

CORRIERE DELLA SERA
11 aprile 2007
"SME, SQUILLANTE FU PAGATO MA NON CI FU CORRUZIONE"
(FERRARELLA LUIGI)
- a pag.22

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"... per la prima volta l’interpretazione estensiva in tema di
corruzione è stata data proprio dalla stessa Corte Costituzionale,
non nella funzione di giudice delle leggi, ma in quella di giudice
penale nel famoso caso Lockheed.

Deve ravvisarsi il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio
nel comportamento del Ministro della Difesa, Mario Tanassi che, a fronte
della promessa di contributi politici aveva promesso di rimuovere e superare
ogni ostacolo che si frapponeva o si sarebbe nel futuro eventualmente frap-
posto all’acquisto di quattordici aerei C-130 Hercules. Con tale comporta-
mento infatti il Ministro ha rinunciato preventivamente alla valutazione
comparativa degli interessi contrapposti cui era deputato quale capo del dica-
stero della difesa.
[Corte Cost. nella composizione integrata per i giudizi di accusa 1/3/79,
2/8/79]"




""Poiché dal momento consumativo del reato di corruzione esula l’effettivo
compimento dell’atto, atteso che il reato si consuma, anche se il pubblico
ufficiale non faccia seguire alla promessa o alla ricezione dell’utilità l’atto che
si è impegnato a compiere, la mancata individuazione in concreto del singolo
atto che avrebbe dovuto essere omesso, ritardato, o compiuto dal P.U. contro
i doveri del proprio ufficio, non fa venir meno il delitto di cui all’art. 319 c.p.
ove venga accertato che la consegna del denaro al pubblico ufficiale venne
effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e per retribuirne i
favori".

Nel caso di specie la Corte annullò una decisione di merito che, pur
avendo accertato l’avvenuta retribuzione a favore del P.U. aveva
ritenuto insussistente il reato di corruzione, non essendo stato spe-
cificamente individuato l’atto omesso o ritardato o che comunque
avrebbe dovuto essere omesso o ritardato (cfr. in senso conforme
Cass. Sez. 6ª in data 14/3/96: Cass. Sez. 5ª in data 16/2/94; Cass.
Sez. 6ª in data 26/3/93)"





cfr.:

SENTENZA SME, Tribunale Ordinario di Milano - Sezione 1ª penale

STRALCIO:

1. Sulla configurabilità del reato di corruzione di cui al
capo (a).


La difesa PREVITI, ma in particolare la difesa di SQUILLANTE
Renato, nella sua discussione, ha svolto una serie di considerazioni
in diritto per contestare la adeguatezza, rispetto alla norma di cui
all’art. 319 c.p., della formulazione accusatoria che si articola
secondo lo schema dell’accordo antecedente per promessa di messa
a disposizione della funzione, cui hanno fatto seguito plurime
dazioni di denaro.
L’argomento essenziale speso dalle suddette difese consiste nel
rilievo che non sono stati identificati (ovvero non è stata fornita
prova dell’esistenza di) atti specifici contrari ai doveri di ufficio
imputabili allo SQUILLANTE e quindi non sarebbe configurabile il
reato di corruzione.
È senza dubbio vero che la norma di cui all’art. 319, anche nel
testo novellato dall’art. 7 della l. 26/4/90 n. 86 letteralmente pre-
vede un accordo tra il pubblico ufficiale e il privato che si sostanzi
nella promessa del primo di compiere un atto contrario ai doveri di
ufficio (ovvero omettere o ritardare un atto del proprio ufficio) in
cambio della promessa o della consegna di denaro, o di altra utilità,
da parte del secondo.
Un negozio collusivo che, a tenore della stretta formulazione let-
terale, parrebbe dover sempre e in ogni caso avere come riferimento
un ben determinato atto specifico – in relazione al quale si forma
l’accordo – che di per se sia contrario ai doveri d’ufficio; ovvero
come ha precisato in più occasioni la Suprema Corte «che sia in
contrasto con norme giuridiche o con istruzioni di servizio o che
comunque violi i doveri di fedeltà, imparzialità e onestà che deb-
bono osservarsi da chiunque eserciti una pubblica funzione».
Ma quid iuris, allorché risulti provato che nell’accordo non vi sia
l’individuazione di un atto ma bensì di un risultato giovevole al pri-
vato che promette la dazione di denaro o di altra utilità; ovvero
allorché risulti che il pubblico ufficiale si è accordato di «mettersi a
disposizione» ovvero di fare il possibile per realizzare quanto e
quando sarà a lui richiesto, in vista di un risultato giovevole al pri-
vato che, per contro, promette e poi anche effettua dazioni di
denaro?
Dovrebbe in tali casi affermarsi che il fatto non è previsto dalla
legge come reato solo perché la contrarietà ai doveri d’ufficio non
è identificabile in un atto specifico, ma in buona sostanza nel com-
portamento in sé, e a priori, contrario ai doveri di ufficio?
Se così si dovesse ritenere l’unica legale interpretazione della
norma di cui all’art. 319 c.p. la stessa non potrebbe sottrarsi ad una
evidente censura di incostituzionalità in quanto punirebbe la con-
dotta di chi accetta la promessa di remunerazione o il pagamento
per il compimento anche di un solo atto contrario e non la condotta
di chi a priori promette di attivarsi in favore dell’erogatore nel com-
pimento di tutta una serie di possibili futuri atti; condotta in sé ben
più grave e devastante.
La giurisprudenza, in ossequio alla raccomandazione più volte
espressa dalla Corte Costituzionale secondo cui tra due possibili
interpretazioni, una conforme ai principi della Costituzione e una
difforme, occorre privilegiare quella conforme, si è da tempo orien-
tata nel senso, in buona sostanza, di ritenere la formula di cui
all’art. 319 c.p. suscettibile di interpretazione estensiva, conforme-
mente alla ratio di tutto l’impianto delle norme relative alla corru-
zione.
Interpretazione estensiva che non è vietata in materia penale, e
che è cosa diversa dalla analogia in malam partem; questa sì vietata
in materia penale.

Peraltro per la prima volta l’interpretazione estensiva in tema di
corruzione è stata data proprio dalla stessa Corte Costituzionale,
non nella funzione di giudice delle leggi, ma in quella di giudice
penale nel famoso caso Lockheed.

Deve ravvisarsi il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio
nel comportamento del Ministro della Difesa, Mario Tanassi che, a fronte
della promessa di contributi politici aveva promesso di rimuovere e superare
ogni ostacolo che si frapponeva o si sarebbe nel futuro eventualmente frap-
posto all’acquisto di quattordici aerei C-130 Hercules. Con tale comporta-
mento infatti il Ministro ha rinunciato preventivamente alla valutazione
comparativa degli interessi contrapposti cui era deputato quale capo del dica-
stero della difesa.
[Corte Cost. nella composizione integrata per i giudizi di accusa 1/3/79,
2/8/79]

Ed è significativo il fatto che nella vicenda di cui sopra le difese
degli imputati avevano posto il problema della qualificazione giuri-
dica sostenendo che gli Hercules C-130 erano i migliori aerei al
momento disponibili sul mercato, i più corrispondenti alle esigenze
dell’aeronautica militare, quelli che costavano meno e da ultimo
erano prodotti da un paese alleato e quindi non ponevano problemi
per la manutenzione.
Così sostenendo la tesi che l’atto compiuto era conforme ai doveri
d’ufficio e quindi si sarebbe trattato di violazione dell’art. 318 e
non 319 c.p.: tesi ricorrente e cavallo di battaglia, ancor oggi, della
dottrina per contrastare interpretazioni non strettamente letterali
della norma dell’art. 319 c.p.
Argomentazioni cui si sarebbe potuto replicare che se la Lockheed
aveva pagato tangenti, ciò non poteva che significare che sarebbe
stata disponibile a vendere quegli aerei al prezzo decurtato dell’im-
porto delle tangenti medesime.
Invece la Corte Costituzionale ha privilegiato un argomento che,
anziché fare perno sull’atto ha ricondotto la contrarietà ai doveri di
ufficio al comportamento del pubblico ufficiale: ovvero – si può
dire – al contenuto della promessa illecita, stabilendo che ogni qual
volta il potere del p.u. viene sottoposto ad interessi diversi da quelli
della P.A. e dai doveri di imparzialità (che sono il parametro costi-
tuzionale dell’attività della stessa P.A.) per il fatto di avere accettato
la promessa o di essere remunerato da parte del privato, si devono
considerare viziati tutti gli atti dallo stesso compiuti, anche se i sin-
goli atti fossero identici a quelli che sarebbero stati compiuti in
assenza di una remunerazione.
Questa interpretazione è stata recepita dalla Corte Suprema già
in tempi risalenti. Si è affermato infatti in giurisprudenza che il
reato di cui all’art. 319 è integrato ogni qual volta non siano rispet-
tate le regole inerenti l’uso del potere discrezionale, sicché «si ha
contrarietà ai doveri di ufficio ogni volta che un pubblico ufficiale
accetti una retribuzione per fare uso distorto del potere discrezio-
nale che gli compete o perché rinunci ad una valutazione compara-
tiva degli interessi, indipendentemente dalla circostanza che l’atto
poi emanato coincida con quello che sarebbe stato emesso in con-
dizioni di normalità» (cfr. ad esempio Cass. 3 giugno 1987).
E ancora la Suprema Corte ha statuito che il bene tutelato dall’art.
319 c.p. è costituito dai principi di buon andamento e imparzialità
della buona amministrazione indicata dall’art. 97 comma primo
della Costituzione, sicché la contrarietà ai doveri di ufficio può
riguardare la condotta complessiva del funzionario che, anche tra-
mite l’emanazione di atti formalmente regolari, può venir meno ai
suoi compiti istituzionali, inserendo tali atti in un contesto avente
finalità diverse da quelle di pubblica utilità.
L’attenzione dell’interprete per valutare la contrarietà o meno
della condotta del P.U. ai suoi doveri deve incentrarsi non sui sin-
goli atti ma sull’insieme del servizio reso al privato, per cui anche
se ogni atto separatamente considerato corrisponde ai requisiti di
legge, «l’asservimento costante della funzione, per denaro, agli inte-
ressi privati, integra il reato in questione» (cfr. Cass. Sez. 6ª
12/1/90).
L’ulteriore approfondimento giurisprudenziale della tematica in
esame è poi scaturito, per un verso, dalla sin qui indicata interpre-
tazione estensiva e, per altro, dalla peculiare caratteristica della
norma la quale, pacificamente, integra un reato di pericolo, che si
realizza anche solo con l’accordo corruttivo, di tal che risulta indif-
ferente nella struttura del reato che gli atti promessi siano effettiva-
mente compiuti e la promessa di pagamento sia adempiuta.
E invero, sempre la Corte di Cassazione, Sez. 6ª, con sentenza
29/1/92 ha affermato che nel delitto di corruzione propria antece-
dente, l’atto d’ufficio oggetto di mercimonio non va inteso in senso
formale, dovendo la locuzione ricomprendere qualsivoglia compor-
tamento del pubblico ufficiale che sia in contrasto con norme giu-
ridiche o con istruzioni di servizio o che comunque violi i doveri di
fedeltà, imparzialità e onestà che debbono osservarsi da chiunque
eserciti una pubblica funzione.


"Poiché dal momento consumativo del reato di corruzione esula l’effettivo
compimento dell’atto, atteso che il reato si consuma, anche se il pubblico
ufficiale non faccia seguire alla promessa o alla ricezione dell’utilità l’atto che
si è impegnato a compiere, la mancata individuazione in concreto del singolo
atto che avrebbe dovuto essere omesso, ritardato, o compiuto dal P.U. contro
i doveri del proprio ufficio, non fa venir meno il delitto di cui all’art. 319 c.p.
ove venga accertato che la consegna del denaro al pubblico ufficiale venne
effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e per retribuirne i
favori".

Nel caso di specie la Corte annullò una decisione di merito che, pur
avendo accertato l’avvenuta retribuzione a favore del P.U. aveva
ritenuto insussistente il reato di corruzione, non essendo stato spe-
cificamente individuato l’atto omesso o ritardato o che comunque
avrebbe dovuto essere omesso o ritardato (cfr. in senso conforme
Cass. Sez. 6ª in data 14/3/96: Cass. Sez. 5ª in data 16/2/94; Cass.
Sez. 6ª in data 26/3/93)



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