00 22/08/2006 21:28


CORRIERE DELLA SERA
19 agosto 2006
L'America frena, Finanziaria in salita
Se la ripresa è in pericolo
di Francesco Giavazzi

Aveva ragione Romano Prodi, che commentando i recenti dati positivi sulla nostra economia disse «una rondine non fa primavera». Da qualche settimana si è diffuso un improvviso pessimismo sull'economia americana. Pochi ormai escludono una recessione e si discute se questa sarà relativamente blanda, come nel 2001-02, oppure più severa. Alcuni, come Nouriel Rubini — l'ex alunno dell'università Bocconi, ora professore a New York, il cui sito
RGE Monitor è diventato il nuovo punto di riferimento delle analisi dell'economia del mondo — sottolineano le similitudini con l'autunno del 1987 quando, il 19 ottobre, Wall Street crollò perdendo il 20,4% in un sol giorno.
Il motivo di questi timori è spiegato con la consueta lucidità da Paul Krugman sul New York Times. L'economia americana cresce ininterrottamente — se si esclude il temporaneo rallentamento del 2001-02 — da 15 anni. In una prima fase, gli anni Novanta, la crescita fu sostenuta dalla tecnologia,— quella che allora si chiamava «nuova economia» — i cui effetti probabilmente furono esagerati e crearono una bolla speculativa nel mercato azionario. Quando la Borsa si ridimensionò il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, sostituì, nell'interpretazione di Krugman, una bolla azionaria con una bolla immobiliare. Per alcuni anni dopo il 2001, tassi di interesse straordinariamente bassi hanno spinto in alto il prezzo delle case e il settore delle costruzioni. Gli americani hanno usato l'aumento del prezzo delle loro case come garanzia per indebitarsi e consumare di più: costruzioni e consumi sono stati il motore della recente crescita dell'economia.
Il pessimismo oggi nasce da due osservazioni. Innanzitutto il rallentamento delle costruzioni e del prezzo delle case. Il numero di nuovi cantieri per la costruzione di abitazioni familiari scende ormai da 6 mesi ed è oggi del 20% inferiore al livello dello scorso mese di gennaio. I prezzi (medi) degli appartamenti situati in un condominio stanno scendendo a un tasso del 9% l'anno. La preoccupazione è che le banche chiedano alle famiglie di rimborsare una parte dei prestiti che erano stati garantiti dal valore della loro casa, e che le famiglie si trovino in difficoltà e si vedano costrette a tagliare bruscamente i consumi. La seconda preoccupazione è che la politica economica non sia in grado di contrastare una recessione. Il deficit del governo federale è già straordinariamente elevato, per effetto dei tagli fiscali e del costo della guerra in Iraq: difficile pensare che la politica fiscale possa divenire ancor più espansiva. La Fed potrebbe essere titubante a ridurre i tassi di interesse perché il prezzo del petrolio mantiene elevata l'inflazione.
Faccio fatica a convincermi che tanto pessimismo sia davvero giustificato. Posta di fronte al rischio di una recessione la Fed non ha mai esitato a ridurre i tassi. E' vero che da qualche mese c'è un nuovo presidente, Ben Bernanke, e che costui — arrivato a Washington con la reputazione di «una colomba» — potrebbe essere titubante ad abbassare i tassi. Ma all'inizio di agosto Bernanke non ha esitato a sorprendere i mercati e a mantenere fermi i tassi dopo due anni di aumenti consecutivi. Quindi prevedo farà ciò che è necessario per cercare di evitare una recessione.
Per noi europei c'è poco di che rallegrarsi. Un rallentamento dell'economia americana e tassi USA più bassi significano un dollaro più debole: non è impossibile che il cambio si avvicini, come nell'inverno di due anni fa, a un livello di 1,3 – 1,5 dollari per un euro. Se ciò accadesse addio esportazioni, almeno verso gli Stati Uniti, e addio ripresa! Per evitare che il rallentamento dell'economia americana e un dollaro più debole fermino anche noi c'è una sola via: aiutare la domanda interna, e soprattutto gli investimenti, tagliando le tasse. E invece in Germania la Signora Merkel, con buona pace di chi la addita ad esempio, si appresta ad alzarle: l'aumento dell'IVA annunciato per gennaio rischia di spegnere la timida ripresa dei consumi tedeschi. Per ridurre le tasse senza far crescere il debito occorre evidentemente tagliare le spese. Il presidente del Consiglio è preoccupato perché i buoni dati sull'economia già hanno dato il là a richieste di una Finanziaria «soft». E il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, non aiuta quando, come in un recente dibattito con il presidente di Confindustria, ripete «non voglio sentir parlare di tagli»! Dopo il coraggio di Bersani sulle liberalizzazioni e l'apparente efficacia di Vincenzo Visco nel convincere gli italiani a cominciare a pagare le tasse, quello che manca a questo governo è altrettanta determinazione sulla spesa.
«Da anni gli stipendi dei dipendenti pubblici sforano sistematicamente ogni limite prefissato. Nel 2005 sono aumentati del 4 per cento, cioè il doppio dell'obiettivo programmatico. Da anni la spesa corrente delle pubbliche amministrazioni schiva i ripetuti, multiformi tentativi di porvi un freno»: questo il giudizio espresso qualche settimana fa dalla Corte dei conti. «Un'analisi condivisibile» commentò il ministro dell'Economia. E allora? Un ministro che condivide queste valutazioni non può ripetere «niente tagli». E non a caso occorre partire dai dipendenti pubblici. Come si fa a convincere i tassisti a rinunciare a qualche privilegio o i metalmeccanici ad andare in pensione un anno più tardi, se si continuano a proteggere i dipendenti pubblici. Il
Sole 24 Ore nei mesi scorsi ha pubblicato inchieste illuminanti sul costo delle amministrazioni pubbliche, a cominciare dalla più costosa, il Senato della Repubblica che continua ad acquistare immobili e a riempirli di dipendenti.
Giornali, radio, televisioni private, ricevono ogni anno dallo Stato contributi per circa 40 milioni di euro: vogliamo deciderci a tagliarli, almeno per le società editrici quotate in Borsa? Ma il problema non sono soltanto i 40 milioni spesi, quanto gli oltre 150 dipendenti pubblici comandati alla Presidenza del Consiglio per amministrare questi contributi. Il semplice atto del «comando» alla Presidenza ne fa quasi raddoppiare lo stipendio. Potremmo sapere quanto guadagnano e quanti davvero sono?




********************************************************************************




IL FOGLIO
22 agosto 2006
Padoa Scoppia

Ministro sull’orlo di una crisi di
nervi scrive (in privato) a Giavazzi e
ad altri 92. Ecco la mail e la risposta

Francesco Giavazzi, sabato sul Corriere
della Sera, ha scritto un editoriale in
cui diceva: “Per ridurre le tasse senza far
crescere il debito occorre evidentemente
tagliare le spese… E il ministro dell’Economia,
Tommaso Padoa-Schioppa, non
aiuta quando, come in un recente dibattito
con il presidente di Confindustria, ripete
‘non voglio sentir parlare di tagli’”.
Il ministro, indispettito, ieri ha inviato
una mail, oltre che allo stesso Giavazzi, a
92 destinatari, tra cui Giuliano Amato,
Franco Bernabè, Lorenzo Bini Smaghi,
Daniela Bracco, Mario Canzio, Innocenzo
Cipolletta, Franco Debenedetti, Mario
Draghi, Vittorio Grilli, Linda Lanzillotta,
Piergaetano Marchetti, Mario Monti, Fabio
Mussi, Alessandro Profumo, Nicola
Sartor. L’oggetto della mail del ministro
è “parole a Cortina”. Ecco il testo.
“Caro Francesco, se tu vi avessi assistito
o ti fossi documentato (magari alla fonte), sapresti
che anche nell’incontro con Montezemolo
a Cortina, come tutte le volte che ho
parlato o scritto in questi tre mesi, ho sostenuto
la necessità di una forte correzione di
bilancio compiuta soprattutto dal lato della
spesa, riformando i quattro grandi comparti
dai quali essa scaturisce: funzioni dello
Stato centrale, rapporti finanziari tra questo
e i governi locali, previdenza, sanità. Un’operazione
ardua, non intrapresa da anni o
decenni, di cui Luigi Spaventa o Tito Boeri
sembrano comprendere la difficoltà, mentre
tu continui a presentarla ai tuoi lettori col
leitmotiv della mancanza di ‘coraggio’. Vuoi
non riforme, ma tagli, la parola tanto amata
dalla demagogia del cambiamento facile come
da quella dello status quo. Per compiacere
un tipo di pubblico che conosco bene
anche io, hai dunque commesso due falli
gravi: hai alterato i fatti e presentato una
analisi superficiale. Capisco il bisogno del
Corriere di riconquistare le copie perdute a
favore del Giornale e di Libero, ma non che,
nell’essere – forse involontariamente – partecipe
di questa operazione, tu metta a repentaglio
la tua reputazione di onestà intellettuale
e di buon economista. Un saluto, ciò
non ostante, cordiale”.
Tommaso




Ed ecco il testo della risposta inviata
dal professor Giavazzi al ministro e agli
altri 92 destinatari.

“Egregio ministro, Penso che su un argomento
come quello da Lei sollevato e in considerazione
della funzione che Lei ricopre,
le discussioni debbano avvenire pubblicamente.
A maggior ragione dato che, come
sempre, avevo manifestato il mio punto di
vista sul Corriere della Sera, per me sede
naturale di tante discussioni. Sono perciò
esterrefatto dal leggere l’espressione della
Sua contrarietà e la Sua meschina insinuazione
– tanto assurda da ricordare un linguaggio
che si usava nell’Unione Sovietica
degli anni Trenta – in un e-mail che Lei ha
ritenuto di dover inviare a 92 illustri persone
in Italia e all’estero. Non sento alcun bisogno
di difendere la mia reputazione: sono
dodici anni che scrivo sul Corriere della Sera,
indipendentemente dai governi, dai presidenti
del Consiglio, dai molti ministri e anche
dai direttori del Corriere ai quali sono
grato per la libertà che mi hanno sempre dato.
Sulla sostanza del suo dissenso quello
che io comprendo è che per Lei il problema
del controllo della spesa pubblica si riduce
a varare ampie riforme. Mi pare scontato ma
di questo sinora non abbiamo visto alcun segnale
concreto. I segnali sono importanti. Se
il ministro Bersani o il viceministro Visco si
fossero limitati a mettere allo studio ampie
riforme delle professioni o del fisco, anziché
varare qualche provvedimento concreto, oggi
saremmo ancora a discutere. Quanto alle
riforme, il Suo ruolo è cruciale in quanto il
Ministro dell’economia, diversamente dai
suoi colleghi, è l’unico ad avere interesse
per la riduzione e l’efficienza della spesa
pubblica. Quali sono stati, al di là delle affermazioni
di principio, i passi concreti che
Ella in questi mesi ha compiuto affinché su
scuola, pensioni, sanità, pubblico impiego,
enti inutili, finanza locale ci si incammini
sul binario che Ella auspica?”.
Francesco Giavazzi




INES TABUSSO