OBLO' -Notizie e pensieri proibiti La rassegna stampa di INES TABUSSO

VERAMENTE INCREDIBILE: SALINI'S STORY

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    INES TABUSSO
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    Utente Senior
    00 28/09/2005 21:46

    AMNESIE, STABILIMENTI BALNEARI IN COLLINA, URANIO IMPOVERITO...


    www.governo.it/Presidente/Comunicati/dettaglio.asp?d=24781
    Consiglio dei Ministri n.198 dell'11 marzo 2005

    La Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica:
    il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi, alle ore 10,45 a Palazzo Chigi,
    sotto la presidenza del Presidente, Silvio Berlusconi.
    Segretario, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza, Gianni Letta.
    In apertura dei lavori il Presidente del Consiglio ha riferito che sottoporrà
    al Presidente della Repubblica la nomina del senatore Rocco SALINI
    a Sottosegretario di Stato alla salute; il Consiglio ha
    rivolto auguri di buon lavoro al neo Sottosegretario.



    "Mi creda: io mi ero allontanato dalla politica"
    Dopo Tangentopoli si rifugio' tra gli affetti familiari
    "Otto anni sono stato via"
    Ebbe quell'incidente.
    "Si'..."
    Dovette anche andare in carcere.
    "Ci andai".
    Stette pero' dentro veramente pochissimo.
    "Pochi giorni".
    Ricorda quanti?
    "Aspetti che chiedo a mia moglie. (Lui:<>.
    Lei: <
  • >. Lui: <>. Lei: <>.) Mia moglie
    non ricorda, io ho rimosso tutto"
    Dodici giorni, senatore. Possibile?
    "Saranno stati sette/otto..."
    Ma poi e' stato pienamente riabilitato.
    "Assoluzione completa".
    E Forza Italia l'ha voluto di nuovo in campo.
    "Si', era in una completa stasi, di opere e di idee. Mi ci hanno trascinato
    dentro"
    (sen. Rocco Salini, intervistato da Antonello Caporale in occasione della
    sua nomina a sottosegretario alla Sanita', La Repubblica, 11-02-2005)
    vedi:
    newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArtic...



    Interviene l'europarlamentare Antonio Di Pietro per dire
    che si tratta di "una bugia", visto che "Salini e' stato
    condannato con sentenza penale passata in giudicato
    per gravi reati contro la pubblica amministrazione,
    assolto proprio no".
    vedi:
    12/03/2005 - "LA REPUBBLICA", Pag. 20
    SOTTOSEGRETARIO PER SCAMBIO E ORA LA SANITA' E' SOVRAFFOLLATA
    di: MARIO REGGIO
    www.difesa.it/files/rassegnastampa/050312/6XZ3L.pdf



    "La notte di San Michele
    Lo arrestarono di notte: 28 settembre 1992. La notte di San Michele. L'ordine
    era del giudice Tragnone, il metodo quello degli anni d'oro di Tangentopoli:
    undici volanti della polizia, dieci assessori della giunta regionale abruzzese
    e in testa il presidente della regione, Rocco Salini. Destinazione la casa
    circondariale di San Domenico. Una retata così non s'era mai vista, la notizia
    balzò in testa a tutti i telegiornali con la notevole eccezione del Tg1,
    allora diretto da un altro abruzzese democristiano doc, Bruno Vespa. Nel
    frattempo il vecchio Gaspari allarmato tirava giù dal letto Oscar Luigi Scalfaro
    al Quirinale.
    Per Salini, 74 anni da Cellino Attanasio provincia di Teramo, «solo un medico
    di campagna» secondo la più celebre autodefinizione, comincia un calvario
    giudiziario. Lo accusa un imprenditore di Ateleta: è stato escluso dai soldi
    dei Piani operativi plurifondo (Pop), ma sospetta che quei 435 miliardi non
    siano stati distribuiti troppo equamente dalla giunta regionale. Non c'è
    uno straccio di graduatoria e sono arrivati finanziamenti per costruire uno
    stabilimento balneare anche in un comune placidamente adagiato in collina".
    (IL SOTTOSEGRETARIO, Rocco e i suoi tranelli, Il Manifesto, 12 Marzo 2005)




    CORRIERE DELLA SERA
    14 marzo 2005
    La poltrona che cancellò il terzo polo
    Gian Antonio Stella

    Il governo Berlusconi ha battuto un nuovo record: con la nomina alla Salute
    di Rocco Salini, ha superato in poltrone il «D'Alema bis», bollato allora
    da Pier Ferdinando Casini come «il governo col maggior numero di sottosegretari
    dal dopoguerra a oggi». Tra premier, vicepremier (due, contando Fini solo
    qui e non agli Esteri) ministri (22), viceministri (9) e sottosegretari (5[SM=g27989],
    l'attuale esecutivo si è infatti inerpicato fino a 92 «careghe». Una in più
    del disprezzato gabinetto di «Baffin di ferro». Anzi, due. Nonostante sia
    stato inserito, con qualche malizia, nel sito Internet di Palazzo Chigi,
    Romano Misserville infatti non diventò mai sottosegretario: si dimise prima,
    per le polemiche sollevate dal fatto che mai si era visto entrare in un governo
    di sinistra un uomo col ritratto dietro la scrivania di Benito Mussolini.
    Parliamo s'intende, a dispetto dello strafalcione polemico casiniano, della
    Seconda Repubblica: nella prima resta in testa il settimo governo Andreotti:
    trenta ministri e 69 sottosegretari. Ma il Cavaliere, avanti così, può fare
    il sorpasso. Dall'insediamento a oggi ha già aggiunto (oltre alle girandole
    ministeriali dovute agli addii di Ruggiero, Tremonti, Frattini...) sette
    new entry . Un altro sforzo e chissà...
    Certo è che sul tema, a destra, hanno cambiato idea in tanti. Basti ricordare,
    appunto, le legnate (ben date e ben ricevute) impartite al governo varato
    dall'allora leader diessino nel dicembre ?99. Gianfranco Fini chiese al Quirinale
    di vigilare se il nuovo esecutivo non avesse distribuito tanti incarichi
    «da legittimare quel che tutti temono, cioè che alcuni votino in favore solo
    perché sottosegretari».
    Giuliano Urbani parlò di «libidine delle poltrone», Silvio Liotta di «un?abbuffata
    di potere nauseante», Rocco Buttiglione di un «mercato» per «moltiplicare
    i sottosegretari».
    Adolfo Urso ironizzò su «una armata Brancaleone arruolata con varie prebende
    per ottenere anche l?ultimo scampolo di voto». Antonio Tajani denunciò «un
    governo nato all?insegna dell?occupazione delle poltrone: 66 sottosegretari
    nominati per tenere unita, con la colla del potere, una maggioranza divisa
    su tutto». E aggiunse velenoso: «Ricordiamo per beneficio d?inventario che
    Berlusconi nominò soltanto 39 sottosegretari». Puntualizzazione già fatta
    anche da Maurizio Gasparri: «Il governo Berlusconi ne aveva meno di quaranta!».
    Quanto al Cavaliere, si disse schifato per la «vorticosa girandola di poltrone»
    e l?«esercito di sottosegretari mai visto». Al momento di scendere in campo
    nel ?94, del resto, era stato chiaro: «Il mio governo sarà più snello». Anche
    se, aveva aggiunto pensando ai 34 di Amato e ai 36 di Ciampi (quelli sì,
    pochini) «sarà difficile diminuire il numero dei sottosegretari». Come ha
    fatto ad accumularne oggi (viceministri compresi) quasi il doppio, nonostante
    ancora nel giugno 2001 avesse promesso che sarebbero stati «meno delle altre
    volte»? Una risposta, dicono i maligni, può essere trovata partendo proprio
    dall?ultima promozione.
    Quella di Rocco Salini. Il quale, senza la prebenda, l?auto blu e la segreteria,
    aveva fondato un «Terzo Polo» minacciando di fargli perdere le elezioni regionali
    in Abruzzo.
    Già segretario regionale della Dc ed erede di Natali (il concorrente abruzzese
    di zio Remo Gaspari), Salini era arrivato alla presidenza della Regione quando
    sul più bello, nel 1990, gli avevano messo le manette. Processato e condannato
    a un anno e qualche mese, s?era visto buttar fuori dalla politica con una
    interdizione di 5 anni dai pubblici uffici. Un guaio, per uno che tiene i
    principi imbullonati alle poltrone. Ma si sa, da noi tutto è possibile: anche
    candidarsi alle elezioni senza che un giudice riesca a mettersi di traverso
    applicando la pena. Fu così che il nostro pur essendo ineleggibile si presentò
    alle Regionali del 2000 e fu il più votato di tutti. Quanto bastava perché,
    prima che il voto fosse annullato, Forza Italia lo candidasse alle Politiche
    nel collegio di Teramo. Collegio tradizionalmente «rosso». E per di più destinato
    dall?Ulivo ad Anna Serafini, la moglie di Piero Fassino. Altra vittoria.
    Dopodiché Salini si mise in attesa: glielo avrebbero dato o no, con tutto
    quel ben di Dio distribuito da Berlusconi, uno straccio di ministero o di
    sottosegretariato? Macché. Non bastasse, via via che si avvicinavano le Regionali,
    capì che anche la speranza d?essere candidato dal Polo a governatore dell?Abruzzo
    al posto di Giovanni Pace, stava andando in frantumi. Un peccato. Tanto più
    che la maggioranza, con una leggina «ad personam», aveva di fatto eliminato
    dalla gara il sindaco ulivista di Pescara Luciano D?Alfonso, che i sondaggi
    davano per vincitore, riaprendo buoni spazi a una conferma della destra.
    Fatto sta che, all?offensiva di un centro-sinistra per una volta unito che
    schierava Ottaviano Del Turco e attaccava rinfacciando per esempio a Pace
    di non avere approvato un solo bilancio nei tempi fissati dalla legge, d?essere
    uscito da un pool di regioni più ricche per comprare una sede a Bruxelles
    tutta abruzzese o d?aver assegnato fior di incarichi al genero, si erano
    aggiunte un po? di defezioni nella Casa della Libertà e in più la minaccia
    di Salini di fare un «Terzo Polo». Una lista propria che, probabilmente,
    sarebbe stata fatale al centro-destra.
    Mettetevi al posto del Cavaliere: non gliela avreste data una poltrona, per
    il bene del polo del Bene? Detto fatto, l?inquieto senatore forzista ha ritrovato
    l?entusiasmo e la fiducia: «Ringrazio il presidente Berlusconi interpretando
    i sentimenti di tutti gli abruzzesi...». E poi dicono che i sottosegretari
    non servono...




    Il Manifesto
    12 marzo 2005
    IL SOTTOSEGRETARIO
    Rocco e i suoi tranelli
    ANDREA FABOZZI

    Da ieri sera il ministro Sirchia ha un nuovo vice. E' l'abruzzese Salini
    Allievo di Remo Gaspari, condannato per Tangentopoli, è l'ultima scoperta
    di Berlusconi
    Avversario pericoloso Democristiano di lungo corso, signore delle preferenze,
    è stato promosso al governo per non averlo contro alle regionali. Ha affondato
    la commissione sull'Uranio impoverito e svegliato in piena notte Scalfaro
    al Quirinale. Storia di un campione della prima Repubblica che raccoglie
    il suo successo nella seconda
    ANDREA FABOZZI
    Non ce la faceva più. Berlusconi la tirava per le lunghe e allora la notizia
    l'ha data lui. Certo non è stato il massimo dell'eleganza. «Sono stato nominato
    sottosegretario alla sanità», ha detto ieri all'ora di pranzo il senatore
    Rocco Salini ai giornalisti, mentre il consiglio dei ministri ancora discuteva.
    «E' vero, me l'ha detto il presidente, mi ha chiamato al cellulare». Sono
    andati a verificare ed era proprio così. Il ministero si chiama «della salute»,
    non più sanità ma non sottilizziamo. Stavolta Rocco ce l'ha fatta. Disgraziatamente
    ormai la legislatura è andata, un annetto ancora, giusto il tempo di ambientarsi.
    Ma è un anno elettorale e il sottogoverno torna utile. Salini, l'allievo
    prediletto di Remo Gaspari, ancora una volta ha fatto bene i suoi conti.
    Roccioso e astuto, ha piazzato un altro colpo basso. Zio Remo sarà contento
    di lui.

    La notte di San Michele

    Lo arrestarono di notte: 28 settembre 1992. La notte di San Michele. L'ordine
    era del giudice Tragnone, il metodo quello degli anni d'oro di Tangentopoli:
    undici volanti della polizia, dieci assessori della giunta regionale abruzzese
    e in testa il presidente della regione, Rocco Salini. Destinazione la casa
    circondariale di San Domenico. Una retata così non s'era mai vista, la notizia
    balzò in testa a tutti i telegiornali con la notevole eccezione del Tg1,
    allora diretto da un altro abruzzese democristiano doc, Bruno Vespa. Nel
    frattempo il vecchio Gaspari allarmato tirava giù dal letto Oscar Luigi Scalfaro
    al Quirinale.

    Per Salini, 74 anni da Cellino Attanasio provincia di Teramo, «solo un medico
    di campagna» secondo la più celebre autodefinizione, comincia un calvario
    giudiziario. Lo accusa un imprenditore di Ateleta: è stato escluso dai soldi
    dei Piani operativi plurifondo (Pop), ma sospetta che quei 435 miliardi non
    siano stati distribuiti troppo equamente dalla giunta regionale. Non c'è
    uno straccio di graduatoria e sono arrivati finanziamenti per costruire uno
    stabilimento balneare anche in un comune placidamente adagiato in collina.

    Passano sette anni. Arriva la condanna in primo e secondo grado dal tribunale
    dell'Aquila, poi la Cassazione annulla la sentenza. Nuovo giudizio e nuova
    condanna della corte di appello di Roma e alla fine, il 20 dicembre 1999,
    la condanna definitiva in Cassazione: un anno e quattro mesi di carcere per
    falso ideologico.

    Pena sospesa con la condizionale, ma c'è una legge del 1990 (n° 55) poi modificata
    nel '99 (n° 475) che stabilisce l'ineleggibilità degli amministratori locali
    condannati con sentenza definitiva a una pena superiore ai sei mesi. Sembra
    proprio che Salini debba dire addio alla politica. Sembra.


    La domanda al Viminale

    Roccioso e all'occorrenza discreto, si era nel frattempo rifugiato alla Asl
    di Chieti: direttore sanitario. Ma uno come lui non si dimentica. Alle regionali
    del 2000 il centrodestra torna a stuzzicarlo, lui in realtà è ancora iscritto
    al partito popolare, in teoria sta dall'altra parte, ma si sa che è allergico
    al bipolarismo. Giovanni Pace, candidato del Polo, ha bisogno di un uomo
    forte come Salini, promette un posto nel listino e consiglia di interrogare
    il ministero dell'interno: forse c'è un sistema per aggirare quella maledetta
    legge che gli impedisce di candidarsi. «Non c'è», risponde dal Viminale il
    15 febbraio del 2000 il direttore generale dell'amministrazione civile: «Salini
    è del tutto ineleggibile».

    Roccioso e ostinato, Salini si candida lo stesso ed è un trionfo: 13mila
    preferenze, il più votato in regione. Senza di lui Giovanni Pace non avrebbe
    mai vinto e dimostra di averlo capito bene: immediata arriva la nomina di
    Salini a vicepresidente della giunta e assessore alla sanità.

    Passata la festa cominciano i guai. Le opposizioni ricorrono contro i risultati
    delle elezioni: quel Salini lì non poteva nemmeno candidarsi, il suo nome
    nel listino ha viziato il voto in tutte le province, bisogna azzerare le
    regionali e votare di nuovo.

    Per Salini è l'inizio di un'altra estenuante battaglia nei tribunali, stavolta
    amministrativi. Anche stavolta la perderà. Ma passano gli anni. La sentenza
    del Consiglio di stato è arrivata a maggio del 2002: Salini è ineleggibile
    e decaduto, ma la giunta e il consiglio regionale sono salvi. Basta sostituire
    Salini con il primo dei non eletti. E' l'ennesimo caso di una sentenza che
    insegue la realtà: quello che il Consiglio di stato sanziona infatti è già
    avvenuto. E' avvenuto che il Salini in questione, roccioso e previdente,
    fiutando la clamorosa esclusione è già saltato via dalla barca che affonda.
    Nel frattempo ci sono state le elezioni politiche e il nostro ha conquistato
    un seggio al senato, seppellendo di voti la più nota sua sfidante nel collegio
    di Teramo, Anna Serafini moglie del segretario dei Ds Piero Fassino. La legge
    è legge: un amministratore condannato non può fare il consigliere regionale,
    ma al senato è ben accetto.


    L'amico del Cavaliere

    Sta nella Casa delle libertà il «medico di campagna» e comincia a raccontare
    in giro di come è diventato un buon amico del Cavaliere, e la storia dimostra
    che aveva ragione.

    Rocco Salini lascia l'Abruzzo e viene a Roma, dove si accomoda nella commissione
    igiene e sanità. Da lontano Remo Gaspari approva.

    Passano gli anni e di Salini non resta gran traccia. Nel suo collegio di
    Teramo amici ed elettori ricordano una promessa da campagna elettorale: «Mi
    faranno sottosegretario alla sanità», ma non ci credono ormai più.

    E invece il nostro lavora nell'ombra. Disponibile anche per incarichi delicati.
    La commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, ad esempio. Le opposizioni
    sono riuscite ad imporre alla maggioranza di governo un'indagine parlamentare
    sulle morti dei soldati che sono venuti a contatto con quelle micidiali pallottole
    radioattive, ma l'entusiasmo del centrodestra è pari a zero. Specie al ministero
    della difesa, dove Antonio Martino ha deciso di fare meno clamore possibile
    sulla vicenda.


    La commissione affondata

    Si verifica una fortunata coincidenza. Martino è di Forza Italia, il presidente
    del senato Marcello Pera che deve nominare i componenti della commissione
    è di Forza Italia e, uomo giusto al posto giusto, ecco arrivare un presidente
    della commissione di Forza Italia: Rocco Salini a disposizione.

    La commissione non si riunisce mai. Anzi, si riunisce solo una volta, per
    nominare Salini presidente e l'ufficio di presidenza. Poi la convocazione
    spetterebbe al presidente ma il presidente ha altro da fare. Raccontano che
    i suoi commissari devono cercarlo al telefonino: Salini, ti aspettiamo. «Non
    posso», risponde lui, sono in Abruzzo, sono pieno di impegni. E si dimette,
    o almeno questo comunica ai giornali perché ancora non è chiaro se il presidente
    del senato Pera abbia ricevuto la sua rinuncia ufficiale e possa nominare
    un altro commissario. Intanto si perde altro tempo e la commissione che dovrebbe
    indagare sull'uranio non indaga affatto.

    Ma che ha da fare Rocco Salini di così urgente? Perché adesso passa di nuovo
    più tempo in Abruzzo che a Roma?


    L'invenzione del Terzo Polo

    Ne ha pensata un'altra delle sue, nientemeno che un terzo polo, un partito
    di centro, uno sposalizio di liste civiche unite da una sigla che più viscida
    non si può: «Moderati e riformisti dell'Abruzzo». Per Giovanni Pace, che
    cinque anni dopo si ricandida alla presidenza della regione, sono dolori.
    Trovarsi Rocco contro non è un buon affare, lo sfidante di centrosinistra
    Ottaviano Del Turco già gongola. Quei 13mila voti del figlioccio di Gaspari
    nessuno li ha dimenticati. Deve intervenire Berlusconi in persona. E qui
    lasciamo la parola all'avvocato Carlo Masci, che le cronache politiche ricordano
    come candidato a sindaco di Pescara e leader della lista civica «Pescara
    futura».

    L'avvocato Masci è il vice di Salini nel progetto centrista, il numero due
    del Terzo Polo abruzzese. «Siamo andati ad Arcore lunedì 28 febbraio, ci
    avevano detto di presentarci alle 15 e 30 e siamo arrivati puntuali. Io e
    Salini siamo andati insieme e insieme ce ne siamo tornati a casa». Insieme
    ma con due progetti già diversi. «Berlusconi è stato gentilissimo - ricorda
    Masci - un ospite impeccabile, ci ha offerto un caffè e ci ha ascoltati per
    un'ora e mezza. Certo, con Salini aveva maggiore sintonia». Parlano fitto
    il «medico di campagna» e il presidente del consiglio, alla fine si stringono
    la mano. Appena fuori da villa San Martino il destino del Terzo Polo è già
    segnato. Salini rinuncia. Ma non ha l'aria di chi si dispera. La sua lista
    appoggerà il candidato di centrodestra Pace. Sarà una specie di lista gemella
    di Forza Italia. L'avvocato Masci è preso in contropiede. Promette che lui
    alla lista centrista non rinuncia «perché una lista autonoma in Abruzzo può
    essere un laboratorio per cambiare la politica a livello nazionale» ma ormai
    è troppo tardi. «Non abbiamo fatto in tempo a raccogliere le firme». Fine
    dell'avventura.

    Dispiace per Masci. Ma per gli altri questa storia finisce bene. Berlusconi
    ha spianato la strada al suo candidato in Abruzzo, Rocco Salini ha coronato
    il suo sogno e mantenuto la promessa con gli elettori. Roccioso, ma anche
    un po' bugiardo aveva detto una volta che «la politica deve stare lontana
    dalla sanità». Parole che stanno bene in bocca a un medico di campagna, ma
    non a un ex dirigente di Asl, ex assessore alla sanità e neo sottosegretario
    alla medesima.

    A far compagnia al ministro Girolamo Sirchia da domani e per il tempo che
    resta c'è un quarto sottosegretario, come rapidissimo ha registrato il sito
    internet del governo, ansioso quasi quanto Salini. Che a tarda sera è stato
    finalmente fatto accomodare a palazzo Chigi, dove ha giurato «nelle mani»
    di Berlusconi perché gli uomini d'onore pagano sempre di persona i propri
    impegni.

    Lo abbiamo raggiunto sulla soglia. Congratulazioni senatore, ce l'ha fatta.
    Ha idea di quali deleghe le saranno affidate? «Veramente ancora no, è una
    cosa di competenza del ministro» risponde Salini con l'aria di chi non si
    era posto il problema. Avrà almeno qualche desiderio? «La sanità - è il nuovo
    sottosegretario che parla - è talmente vasta che ogni argomento diventa interessante.
    Potrebbe essere la prevenzione, potrebbe essere l'ambiente».

    In fondo non è questo l'importante.

    continua nella discussione successiva...
    INES TABUSSO
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    INES TABUSSO
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    ...continua dalla discussione precedente

    www.congedatifolgore.com/news/
    COMMISSIONE URANIO: SI DIMETTE IL PRESIDENTE. "NON HA TEMPO"
    Mercoledì, 2 Marzo 2005
    by webmaster

    ROMA - Rocco Salini, senatore di Forza Italia, designato poche settimane
    fa presidente della Commissione monocamerale d'inchiesta sull'uso dell'uranio
    impoverito si è dimesso con una lettera inviata al presidente del Senato
    e al capogruppo di Forza Italia Renato Schifani. La conferma, dopo i commenti
    del segretario della Commissione Luigi Malabarba (Prc) viene dallo stesso
    senatore che motiva la sua scelta dicendo di "avere tanti altri impegni.
    Ora sto anche impegnandomi a livello regionale e questo incarico, a cui sono
    stato chiamato dal presidente del Senato richiede molto tempo per essere
    fatto bene. Un grande impegno e io personalmente non ho tempo. Quindi ho
    deciso di rimettere la designazione che c'era stata qualche settimana fa".
    "Ho la sensazione che al Senato si stia costituendo un fronte trasversale
    per far saltare la commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito". Lo afferma
    il Questore della Camera dei deputati, Edouard Ballaman (Lega Nord), commentando
    la notizia delle dimissioni del presidente della stessa Commissione sull'uranio.




    il manifesto
    02 Marzo 2005
    POLITICA pagina 08

    URANIO
    Forza Italia blocca ancora
    Rocco Salini, senatore di Forza Italia, designato poche settimane fa presidente
    della Commissione monocamerale d'inchiesta sull'uso dell'uranio impoverito,
    ieri improvvisamente si è accorto di avere troppi impegni e si è dimesso.
    «E' un vero e proprio boicottaggio» denuncia il senatore di Rifondazione
    Gigi Malabarba: «Proprio Forza Italia aveva impedito per mesi la costituzione
    della commissione non indicando i propri cinque componenti. A questo punto
    è chiaro come il sole: Forza Italia, il partito del ministro della difesa
    Antonio Martino, sabota la commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito».
    Ad affiancare Malabarba il segretario della commissione, Falco Accame, presidente
    dell'Anavafaf, Domenico Leggiero, dell'Osservatorio militare, Antonio Savino,
    presidente dell'Unione nazionale arma dei carabinieri, ma anche il leghista
    Edouard Ballaman, questore della camera dei deputati che ha ammesso: «Ho
    la sensazione che al Senato si stia costituendo un fronte trasversale per
    far saltare la commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito».





    Corriere della Sera
    27 aprile 2005
    L?ESCLUSO
    Salini, solo 40 giorni al governo «Potevano almeno avvisarmi»

    MILANO - Lo hanno congedato senza un plissé. E senza un perché. «Che ineleganza
    - dice sconsolato Rocco Salini - Lo trovo scorretto anche dal punto di vista
    umano ed etico». E dire che, per quella traballante poltroncina da sottosegretario
    alla Salute, aveva dovuto rinunciare al suo progetto di Terzo Polo. E si
    era messo al servizio di Forza Italia, lui e il suo fedele pacchetto di voti.
    Quaranta giorni da sottosegretario, quasi un record. «Si vede che sono talmente
    bravi da giudicare un lavoro in pochi giorni. Solo una settimana fa Gianni
    Letta aveva ascoltato con attenzione i miei tre progetti per la Sanità. Mi
    aveva detto che si sarebbe molto adoperato». Non ha avuto il tempo, Letta,
    per adoperarsi. E così Salini - una solida amicizia con Gasparri, una solida
    carriera prima nella Dc e poi in Forza Italia - è stato cacciato senza troppi
    riguardi.
    La vicenda nasce a marzo, quando Salini minaccia improvvisamente di mettere
    in piedi un terzo Polo, mettendo così in difficoltà Giovanni Pace, candidato
    per la Cdl alle Regionali. Nelle strade ci sono già i manifesti dei «riformisti»
    di Salini, quando Berlusconi lo convoca. «E mi affida l?incarico». Non che
    lui puntasse a una poltrona. «Per carità, volevo solo che l?Abruzzo fosse
    più rappresentato, mi sembrava fosse trascurato». Il terzo Polo viene sacrificato.
    Ma le elezioni vanno malissimo e Pace, pesantemente sconfitto da Ottaviano
    Del Turco, se ne lamenta: «Colpa di questa vicenda kafkiana». Il pacchetto
    di voti di Salini è sparito. «Macché, sono stati i cinque anni di inerzia
    in Regione - dice Salini - i miei voti c?erano eccome. Nel 2000 arrivai persino
    quinto nelle preferenze in Italia. E Berlusconi mi ricevette per premiarmi».
    Altri tempi. Ora la sua stella è in declino. E, come dice perfidamente Del
    Turco, ora Salini è diventato un «sottosegretario usa e getta».
    Eppure ci sono stati momenti peggiori. Come nel 2000, quando una retata mandò
    in galera lui e tutta la sua giunta. La notizia finì anche sul New York Times
    . «Clientopoli», fu chiamata l?operazione. Salini venne condannato a un anno
    e quattro mesi per falso ideologico. Poco dopo si ripresenta e viene eletto.
    Per il Tar, però, è ineleggibile e il Consiglio viene sciolto. Al Senato,
    invece, la condanna non è un ostacolo. Forza Italia lo ricandida e Salini
    viene rieletto. «Perché abbiamo un pedigree - spiega al plurale - Siamo stati
    osservati con la lente d?ingrandimento e la gente sa che Salini è un grande
    lavoratore e un galantuomo».
    Ora bisogna ricominciare. «Ma prima voglio sapere. Ho chiamato Bondi, ma
    era da Berlusconi. Ora sto cercando Letta. Mi devono spiegare perché». Nel
    frattempo, non si dispera e mangia prosciutto con gli amici: «Non muoio se
    non faccio il sottosegretario. Peccato, però, per l?Abruzzo».
    Alessandro Trocino






    Da L'ESPRESSO
    26.09.2002
    Attualità I reintegri più incredibili Vado patteggio e torno
    di Peter Gomez e Leo Sisti

    Commettono reati. Sono condannati. E non vogliono lasciare il posto. Così
    grazie a norme ambigue e vertici compiacenti, molti dipendenti non pagano.
    Anzi, ci marciano.
    In italia ci sono attualmente 3.500 dipendenti pubblici impuniti e intoccabili.
    Anche se colpevoli di reati gravi.

    Eccola, la vera Italia che resiste, da nord a sud. Quella degli amministratori
    e dipendenti pubblici, che, pur condannati, restano inchiodati alla poltrona.
    L'ultimo caso è esploso lunedì 16 settembre, quando poco prima della riunione
    del Consiglio comunale di Milano, la maggioranza di centro-destra avrebbe
    voluto impedire con un escamotage la sospensione del consigliere forzista
    Giovanni Terzi, condannato per corruzione a due anni e mezzo in primo grado.
    Violando una legge che prevede questa misura.
    Lo stesso è successo a Palermo il 20 agosto, esattamente quattro giorni prima
    del blitz che alla Malpensa ha smascherato 37 facchini ripresi dalle microcamere
    della polizia mentre saccheggiavano i bagagli dei
    passeggeri. Quel giorno la direzione del personale della regione Sicilia
    ha completato un primo elenco di propri dipendenti condannati o inquisiti,
    scoprendo così che venivano ancora regolarmente stipendiate 142 persone finite
    nei guai con la giustizia. Tra queste, ben 32 dirigenti: cinque sottoposti
    a custodia cautelare, sei indagati a piede libero, due su cui pende una richiesta
    di rinvio a giudizio, 16 sotto processo, due condannati in appello e uno
    assolto in primo grado. Molti di loro erano accusati di reati gravissimi
    (uno, imputato per mafia, faceva addirittura parte dell'ufficio di gabinetto
    del presidente Totò Cuffaro, ed è stato trasferito solo quando la cosa è
    trapelata sulla stampa locale). Tutti erano rimasti al loro posto.
    Mentre si discute (giustamente) delle ruberie da poche centinaia di euro
    alla Malpensa, e di come altri 52 operai della Sea (Società servizi aeroportuali)
    arrestati nel '97 per furto e ricettazione dopo i patteggiamenti delle pene
    abbiano continuato a lavorare negli aeroporti milanesi, in Italia c'è un
    esercito di almeno 3 mila 500 dipendenti pubblici impuniti ed intoccabili.
    E non per colpa del sindacato. Da una parte ci sono leggi ipergarantiste
    (l'ultima è del 2001) che di fatto impongono il licenziamento solo per chi
    è stato definitivamente condannato a più di tre anni di reclusione esclusivamente
    per corruzione e concussione. Dall'altra, ci sono amministrazioni pubbliche
    che evitano di applicare le norme. O che, quando lo fanno, cozzano contro
    lo scoglio delle sentenze di patteggiamento. Patteggiare una pena (in ogni
    caso al di sotto dei due anni) nel nostro Paese non equivale infatti ad ammettere
    la propria colpa. Spiega il presidente dell'Anm Edmondo Bruti Liberati: "La
    situazione è paradossale: il patteggiamento non è tecnicamente considerato
    una condanna, ma può comportare il carcere, senza però avere nessuna conseguenza
    sul rapporto di pubblico impiego".
    Così si moltiplicano le disparità di trattamento. A Milano sono stati licenziati
    alcuni vigili dell'annonaria che, arrestati per aver preso mazzette dai venditori
    ambulanti, hanno poi patteggiato. Erano alle soglie della pensione e non
    hanno avuto nulla da eccepire. A Genova invece il pm Francesco Pinto deve
    amaramente constatare che sono ancora in servizio, dopo aver concordato la
    sentenza, il "70 per cento dei 40 vigili, infermieri e medici" accusati di
    truffa, falso ideologico e peculato nell'ambito dello scandalo di assicuropoli:
    falsi incidenti stradali per centinaia di miliardi di vecchie lire. Un altro
    caso limite è quello di Felice Corticchia, un ex maresciallo dei carabinieri
    che dopo aver patteggiato a un anno e 9 mesi per aver calunniato il pool
    di Mani pulite, ha strappato un contratto di consulenza a 70 milioni di vecchie
    lire l'anno con la Fiera di Milano. A Bolzano è poi ancora vivo il ricordo
    del funzionario della Provincia Helmuth Eisendle che, reduce da un patteggiamento
    per vicende legate ad acquisti di apparecchiature sanitarie, è stato in seguito
    promosso (dalla Provincia) a direttore amministrativo dell'ufficio strade.
    Ancora più clamorosa la vicenda di 22 ufficiali e sottufficiali dell'esercito,
    che finiti in manette a Milano per le tangenti sulle forniture di divise,
    hanno scelto il rito alternativo in cambio di un mite verdetto. Quasi tutti
    sono ancora sotto le armi. I procedimenti disciplinari avviati alla fine
    dell'iter giudiziario sono naufragati di fronte ai ricorsi al Tar. Spiega
    l'avvocato Luigi Ligotti, difensore di uno dei militari inquisiti: "Una sentenza
    della corte di Cassazione distingue tra il patteggiamento che avviene prima
    del dibattimento, cioè quando il giudice non conosce ancora gli atti, e quello
    che avviene dopo, con il "recupero" di un'istanza di patteggiamento ingiustamente
    negata. Solo nel secondo caso il patteggiamento equivale all'accertamento
    dei fatti". Insomma chiudere tutto subito conviene. Lo dimostrano anche le
    statistiche contenute nella prima relazione della Corte di disciplina del
    consiglio universitario nazionale, l'organismo che esamina le malefatte dei
    professori. Nel 2000, su 30 casi esaminati (e quasi tutti chiusi in sede
    penale da un patteggiamento) solo otto sono terminati con provvedimenti punitivi.
    In un solo episodio (un docente che aveva costretto una minorenne a subire
    abusi sessuali) c'è stata la destituzione dell'incolpato. In tutti gli altri
    sono state comminate sospensioni minime: da dieci giorni a un anno. Ad esempio,
    appena un anno per un docente che vendeva le prove dell'ammissione ai corsi
    di laurea; sei mesi a un collega che promuoveva in cambio di regali; soltanto
    15 giorni a un professore reo di "molestie sessuali nei confronti di una
    dipendente". La norma è insomma troppo blanda. E soprattutto si limita ad
    occuparsi solo di chi ha preso mazzette. Commenta l'ex pm di Mani Pulite,
    Piercamillo Davigo, oggi giudice: "Probabilmente la soglia dei tre anni prevista
    dalla legge verrà interpretata nel senso che, al di sotto, la stragrande
    maggioranza dei condannati non può essere licenziata". Ma non basta. Molti
    enti pubblici o a maggioranza pubblica non danno il buon esempio. In maggio
    il governo Berlusconi ha nominato amministratore delegato dell'Enel Paolo
    Scaroni, che nel '96 ha patteggiato una pena di un anno e quattro mesi. Poteva
    farlo (il divieto cade dopo 5 anni). Ma non è elegante piazzare proprio lì
    chi, da privato, ha versato tangenti per vincere appalti dall'azienda che
    oggi dirige.
    Anomala anche la situazione del Parlamento dove siedono alcuni deputati e
    senatori che per una legge del '90 non possono far parte di enti locali perché
    condannati. Esemplari le storie del neosenatore Augusto Rollandin che, decaduto
    da consigliere regionale dopo una condanna per abuso d'ufficio, è stato eletto
    al Senato nel 2001 da Ds e Union Valdotaine; e quella del vicepresidente
    forzista della regione Abruzzo Rocco Salini che, cacciato per una condanna
    per falso, è invece entrato a Palazzo Madama. Come dire: le condanne non
    sono eguali per tutti.

    INES TABUSSO