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l'ipotesi di giusta causa di licenziamento in un contratto collettivo non vincola il giudice

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    marco panaro
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    Registrato il: 24/06/2003
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    00 18/09/2006 21:33
    Cassazione Sezione Lavoro n. 18144 del 10 agosto 2006, Pres. Mattone, Rel. D’Agostino

    Luigi F. dipendente della società Automobilistica Tecnologie Avanzate è stato sottoposto a procedimento disciplinare con l’addebito di avere colpito con un tubo di ferro un altro dipendente all’interno dello stabilimento, nel corso di un litigio, cagionandogli lesioni personali. Egli si è difeso facendo presente, tra l’altro, di avere reagito ad una provocazione. L’azienda lo ha licenziato, facendo riferimento all’art. 25 lett. b) del contratto collettivo nazionale di categoria che prevedeva la sanzione del licenziamento per il dipendente che, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, si fosse reso responsabile di azioni che costituiscono “delitto” a termini di legge; in questo caso il delitto era quello di lesioni personali. Luigi F. ha chiesto al Tribunale di Melfi di annullare il licenziamento, sostenendo che la sanzione era eccessiva in considerazione dei suoi precedenti e delle circostanze del fatto. Il Tribunale, dopo aver sentito alcuni testimoni, ha rigettato la domanda in quanto ha ritenuto applicabile l’art. 25 lett. b) del contratto collettivo. Questa decisione è stata riformata dalla Corte di Appello di Potenza, che ha annullato il licenziamento ed ha ordinato la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro condannando inoltre l’azienda al risarcimento del danno. La Corte ha rilevato che dalla prova testimoniale era emerso che il lavoratore aveva subito una provocazione e quindi aveva agito in uno stato di ira determinato da un fatto ingiusto altrui e senza alcuna premeditazione; ha inoltre osservato che Luigi F. non aveva commesso in passato alcuna infrazione e che l’episodio per il quale egli era stato licenziato non aveva cagionato alcun danno all’azienda né aveva in alcun modo turbato l’attività aziendale; ha quindi concluso che il fatto contestato al lavoratore non era tale da comportare una irreparabile interruzione dell’elemento fiduciario. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Potenza per vizi di motivazione e violazione di legge.

    La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18144 del 10 agosto 2006, Pres. Mattone, Rel. D’Agostino) ha rigettato il ricorso, richiamando la sua costante giurisprudenza secondo cui la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il Giudice, dal momento che la nozione di giusta causa è nozione legale e il Giudice deve sempre verificare, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla definizione di giusta causa di cui all’art. 2119 cod. civ. e se, in ossequio ai principi generali di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia tale da legittimare il recesso, tenuto anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore. Nel caso in esame – ha osservato la Cassazione – la Corte di Potenza, valutata la portata del fatto contestato, anche in relazione alla insussistenza di conseguenze patrimoniali e morali per l’azienda, e considerato il comportamento precedente e successivo dell’incolpato e l’intensità del dolo ha ritenuto, con motivazione adeguata, che la sanzione del licenziamento non fosse proporzionata alla gravità della condotta addebitata.
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    marco panaro
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    00 27/03/2007 23:18
    Cassazione Sezione Lavoro n. 6621 del 20 marzo 2007, Pres. Sciarelli, Rel. Lamorgese
    Senza dubbio allorché il contratto collettivo preveda per determinati comportamenti del lavoratore sanzioni disciplinari conservative, il giudice del merito, nel valutare la legittimità della sanzione applicata, deve attenersi alla previsione contrattuale e non gli è consentito apprezzare la condotta del lavoratore come causa che legittimi l’adozione del licenziamento da parte del datore di lavoro; tuttavia, per escludere che il giudice possa discostarsi dalla previsione del c.c.n.l., è necessario che vi sia integrale coincidenza fra la fattispecie contrattuale prevista e quella effettivamente realizzata, restando per contro una diversa e più grave valutazione possibile (e doverosa) quando la condotta del lavoratore sia caratterizzata da elementi aggiuntivi estranei (ed aggravanti) rispetto alla fattispecie contrattuale.
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    marco panaro
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    Utente Gold
    00 12/10/2007 19:45
    SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SENTENZA N. 20159 DEL 26 SETTEMBRE 2007
    L'interpretazione del contratto, individuale o collettivo di diritto comune è riservata ai giudici di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, ad un sindacato che è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di
    ermeneutica contrattuale ed al controllo di una motivazione coerente e logica. Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia del vizio di motivazione
    esigono la specifica indicazione del modo in cui la violazione anzidetta si sarebbe verificata, ossia quale sarebbe il canone interpretativo violato e quale l'obiettiva deficienza e
    contraddittorietà del ragionamento del giudice (tra le tantissime Cass. 24 dicembre 1999 n. 13537).