Re Gabriel
00sabato 9 ottobre 2004 17:36
. . . . . Yusif El Fakhri aveva trent'anni quando si ritirò dalla società per andare a vivere in un eremo che si trovava nei pressi della Valle Kedeesha, nel Libano settentrionale.
.....molti erano sicuri che fosse un mistico che si beava del mondo spirituale, anche se la maggior parte della gente sosteneva che si trattasse di un pazzo. Quanto a me, non potevo trarre alcuna conclusione riguardo a quell'uomo, poiché sapevo che doveva esserci un segreto racchiuso in fondo al suo cuore e non mi sembrava il caso di affidarne la rivelazione a delle semplici congetture.
Avevo a lungo sperato che mi si presentasse l'opportunità di incontrare quello strano uomo e mi ero sforzato di conquistarne l'amicizia per vie traverse, poiché volevo studiare la sua visione della realtà e apprendere la sua storia indagando sullo scopo della sua vita, i miei sforzi però risultarono vani.
[Gibran nei paragrafi seguenti spiega di avere incontrato l'eremita varie volte senza però essere mai riuscito a dialogare con lui]
...un bel giorno venni sorpreso da una forte tempesta, nei paraggi della sua dimora. Ebbi così il pretesto di entrare nel suo umile eremo ed i miei vestiti bagnati, servirono come scusa per trattenermi .
[dopo un certo palese 'risentimento' di Yusif per la forzata intrusione di Khalil, nasce uno scambio di ironiche e sottili battute sulla tempesta e sui pericoli legati ai fenomeni naturali]
...poi si mosse verso una panca di legno accanto al caminetto e m'invitò a sedermici sopra e ad asciugarmi gli abiti; riuscivo a stento a controllare la mia euforia.
[Yusif era intento a soccorrere un uccello morente, col capo ferito e le ali spezzate]
...prese una sorta di unguento e lo spalmò delicatamente sul capo e sulle ali del volatile. Senza alzare lo sguardo disse:
«I forti venti hanno fatto cadere questo uccello sulle rocce tra la Vita e la Morte».
Restituendo la similitudine replicai:
«E i forti venti mi hanno spinto alla deriva fino alla tua porta, giusto in tempo per evitare di ferirmi alla teste e di spezzarmi le ali».
Mi guardò con serietà e disse:
«È mio desiderio che l'uomo dimostri l'istinto degli uccelli e che la tempesta spezzi le ali della gente, poiché l'uomo è incline alla paura e alla vigliaccheria e, non appena sente il risveglio della tempesta, striscia nelle crepe e nelle caverne della terra e si nasconde».
Il mio scopo era quello di riuscire a carpirgli la storia dell'esilio che si era autoimposto, perciò lo provocai:
«Sì, gli uccelli sono in possesso di un senso dell'onore e di un coraggio che l'uomo non possiede... L'uomo vive nell'ombra di leggi e di consuetudini da lui stesso create e foggiate secondo le sue esigenze, mentre gli uccelli vivono secondo quella stessa Legge Eterna di libertà che spinge la Terra a seguire la sua ampia orbita intorno al Sole».
Gli s'illuminarono il volto e gli occhi, come se avesse trovato in me un discepolo in grado di comprenderlo, ed esclamò:
«Ben detto! Se credi nelle tue parole, allora devi abbandonare la civiltà con le sue leggi e le sue tradizioni corrotte e vivere come gli uccelli, in un luogo in cui manca tutto tranne la grandiosa legge del Cielo e della Terra».
«Credere è una bella cosa, ma mettere in atto le cose in cui si crede è una prova di forza. Sono molti coloro che parlano come il fragore del mare, ma la loro vita è poco profonda e stagnante come una putrida palude. Sono molti coloro che levano il capo al di sopra delle cime delle montagne, ma il loro spirito rimane addormentato nell'oscurità delle caverne».
S'alzò tremante dal suo sedile e pose l'uccello su un pezzo di stoffa ripiegato accanto alla finestra.
[A quel punto l'eremita Yusif iniziò a dimostrarsi ospitale verso Gibran e questo alimentò le speranze dell'autore di poter "indagare" a fondo sulla vita del misterioso uomo. Nel testo originale seguono varie domande poste dall'autore e interessanti osservazioni di entrambi. Yusif offrì poi da mangiare e da bere al suo ospite mostrando un certo impegno affinché non gli mancasse nulla. Versò del vino, del caffè e gli diede del tabacco e lo chiamò Fratello]
...senza credere ai miei occhi. Egli mi guardò sorridente e, dopo aver aspirato profondamente dalla sua sigaretta e sorseggiato un po' di caffè, disse:
«Senza dubbio, starai riflettendo sul fatto che, in un luogo come questo, ci siano vino, tabacco e caffè, e forse ti meraviglierai del cibo e delle comodità di cui dispongo. La tua curiosità è del tutto giustificata, poiché sei uno dei tanti a credere che, stando lontano dalla gente, si debba rinunciare alla vita e astenersi da tutti i suoi piaceri».
«Sì», convenni subito,
«i saggi raccontano che chi abbandona il mondo per venerare Dio soltanto si lascerà alle spalle tutti i piaceri e l'abbondanza della vita, accontentandosi dei soli frutti di Dio e basando la propria sussistenza esclusivamente su piante e acqua».
Dopo una pausa gravida di riflessione disse:
«Avrei potuto venerare Dio continuando a vivere tra le Sue creature, perché la venerazione non richiede necessariamente la solitudine. Non ho lasciato la gente per vedere Dio, poiché L'ho sempre visto alla casa di mio padre e di mia madre. Ho abbandonato la gente perché la loro natura contrastava con la mia, ed i loro sogni non corrispondevano ai miei... Ho lasciato gli uomini perché ho scoperto che la ruota della mia anima girava in una direzione e strideva aspramente contro le ruote di altre anime che giravano in direzione opposta. Ho lasciato la civiltà perché ho scoperto che è come un vecchio albero marcio, forte e terribile, le cui radici sono serrate nell'oscurità della terra e i cui rami si protendono al di là delle nuvole; ma i suoi fiori sono l'avidità, il male e il crimine, e i suoi frutti la sofferenza, la miseria e la paura. Chi ha cercato d'infondere in essa il bene e di modificarne la natura non è riuscita nel suo intento. È morto deluso, perseguitato e tormentato».
Yusif si chinò verso il caminetto, come se attendesse di vedere che impressione avevano fatto le sue parole nel mio cuore.
Pensai fosse meglio limitarmi ad ascoltare, ed egli continuò:
«No, non ho cercato la solitudine per pregare e per vivere da eremita...poiché la preghiera, che è il canto del cuore, giunge alle orecchie di Dio anche se confusa in mezzo alle grida e ai lamenti di migliaia di voci. Vivere da recluso vuol dire torturare il corpo e l'anima e mortificarne le inclinazioni, è un tipo di esistenza che mi ripugna, poiché Dio ha edificato i corpi come templi dello spirito, ed è nostro compito cercar di meritare e di conservare la fiducia che Dio ha riposto in noi.
No, fratello mio, non ho cercato la solitudine per motivi religiosi, ma unicamente per evitare le persone e le loro leggi, i loro insegnamenti e le loro tradizioni. le loro idee, il loro chiasso e i loro lamenti. Ho cercato la solitudine per non vedere i volti di uomini che si vendono e comprano allo stesso prezzo cose che sono spiritualmente e materialmente inferiori a loro.
Ho cercato la solitudine per non incontrare quelle donne che camminano con alterigia, con mille sorrisi sulle labbra, mentre in fondo ai loro mille cuori non c'è che un unico fine.
Ho cercato la solitudine per nascondermi dagli individui compiaciuti di sé che, nei loro sogni, vedono lo spettro della conoscenza e credono di aver raggiunto il loro scopo.
Sono fuggito dalla società per evitare coloro che, al loro risveglio, vedono soltanto il fantasma della verità, e gridano al mondo di aver acquisito totalmente l'essenza della verità stessa.
Ho abbandonato il mondo e ho cercato la solitudine perché mi sono stancato di rendere omaggio alle moltitudini che credono che l'umiltà sia una sorta di debolezza, e la compassione una specie di viltà, e lo snobismo una forma di forza.
Ho cercato la solitudine perché la mia anima non ne può più di avere rapporti con chi crede sinceramente che il sole, la luna e le stelle non sorgano se non nei loro scrigni e non tramontino se non nei loro giardini.
Sono scappato via da coloro che aspirano a cariche pubbliche, che danneggiano la sorte terrena della gente gettandogli polvere d'oro negli occhi e riempendogli le orecchie con discorsi senza senso.
Mi sono allontanato dai sacerdoti che non vivono conformemente a ciò che dicono nei loro sermoni, e che pretendono dagli altri ciò che non chiedono a loro stessi.
Ho cercato la solitudine perché non ho mai ottenuto gentilezza da un essere umano senza pagarne l'intero prezzo col mio cuore.
Ho cercato la solitudine perché detesto quella grande e terribile istituzione che la gente chiama civiltà, quella simmetrica mostruosità innalzata sulla perpetua disgrazia delle razze umane.
Ho cercato la solitudine perché in essa lo spirito, il cuore e il corpo possono trovare pienezza di vita. Ho trovato le praterie sconfinate dove riposa la luce del sole, dove i fiori esalano il loro profumo nello spazio e dove i ruscelli cantano durante la loro corsa verso il mare. Ho scoperto le montagne su cui ho trovato il fresco risveglio della Primavera, la brama piena di colore dell'Estate, i profondi canti dell'Autunno e lo stupendo mistero dell'Inverno. Sono venuto in questo remoto angolo del dominio divino perché desideravo ardentemente di conoscere i segreti dell'Universo e avvicinarmi al trono di Dio».
Yusif respirò profondamente, come se si fosse liberato di un peso.
I suoi occhi risplendevano di una strana luce magica, e sul suo volto raggiante apparivano i segni dell'orgoglio, della volontà e della soddisfazione.
Trascorsero alcuni istanti, durante i quali lo fissai con tranquillità, riflettendo sulla rivelazione di ciò che prima mi era stato nascosto; quindi mi rivolsi a lui dicendo:
«Senza dubbio hai ragione sulla maggior parte delle cose che hai detto, ma la tua diagnosi della malattia sociale dimostra anche che sei un buon medico. Credo che la società malata abbia disperatamente bisogno di un medico come te, che dovrebbe curarla o farla morire. Questo mondo afflitto implora la tua attenzione. Ritieni giusto o misericordioso tirarti indietro di fronte al paziente che soffre e negargli la tua assistenza?».
Yusif mi guardò con l'espressione pensierosa, poi disse in tono sconsolato:
«Sin dagli albori del mondo, i medici hanno cercato di guarire i disturbi della gente; alcuni hanno usato il bisturi, altri hanno fatto ricorso a pozioni, ma la pestilenza si è diffusa senza lasciare alcuna speranza. Io desidererei che il paziente si accontentasse di rimanere nel suo sudicio letto, a meditare sulle sue ferite che non si rimarginano; egli invece protende le mani da sotto la veste, afferra la gola di chiunque vada a fargli visita e lo strangola.
Quale ironia!
Il paziente malvagio uccide il dottore, poi chiude gli occhi e dice dentro di sé: "Era un grande medico".
No, fratello, nessuno può far del bene all'umanità. Il seminatore, per quanto saggio ed esperto possa essere, non può far germogliare il campo d'inverno».
«L'inverno degli uomini», ribattei, «passerà, e allora giungerà la bella primavera, e i fiori sbocceranno di certo nei campi, e i ruscelli guizzeranno di nuovo nelle valli».
Yusif s'accigliò e disse con amarezza:
«Ahimè! Dio ha forse diviso la vita umana - che è l'intero creato - in stagioni simili a quelle dell'anno? Desidererà mai una tribù di esseri umani, che ora vive nella verità e nello spirito di Dio, riapparire sulla faccia di questa terra? Giungerà mai il momento in cui l'uomo si collocherà alla destra della vita e vi dimorerà, godendo della fulgida luce del giorno e del sereno silenzio della notte? Può questo sogno trasformarsi in realtà? Può materializzarsi dopo che la Terra si è riscoperta di carne umana e s'è imbevuta del sangue umano?».
Allora s'alzò e sollevò la mano verso il cielo, come per indicare un mondo diverso, e continuò:
«Questo non è che un sogno vano per il mondo, ma io sto riuscendo a realizzarlo per me stesso, e quel che sto scoprendo qui occupa ogni spazio tanto nel mio cuore quanto nei monti e nelle valli».
A questo punto alzò il tono della sua intensa voce:
«Quel che so per certo esser vero è il pianto del mio io più profondo. Mi trovo qui, vivo, e nel profondo della mia esistenza vi è sete e fame, e provo gioia nel prendere un po' del pane e del vino contenuto nei vasi che modello con le mie stesse mani. Per questo motivo ho abbandonato il palcoscenico degli uomini per venire in questo luogo, e rimarrò qui fino alla Fine!».
[Kahlil tenta nuovamente di ribattere azzardando una discreta critica e ribadendo la sua convinzione circa la perdita subita dal suo paese coll'espatrio del saggio eremita]
...egli scosse lentamente la testa e disse:
«Questo paese è come tutti gli altri, e le persone sono tutte della stessa pasta, variano soltanto nell'aspetto esteriore, il che non ha importanza. La disgrazia dei nostri paesi orientali è la disgrazia del mondo, e ciò che in occidente viene chiamato civiltà non è che uno spettro in più tra i tanti fantasmi di un tragico inganno.
L'Ipocrisia ci sarà sempre, anche se con la punta delle dita lustra e dipinta;
l'Inganno non cambierà mai, anche se il suo tocco diverrà morbido e delicato;
la Menzogna non si tramuterà mai in Verità, neppure se la rivestirai con abiti di seta e gli offrirai dimora nel palazzo;
l'Avidità non diverrà mai Appagamento;
e neppure il Crimine si trasformerà in Virtù.
E l'Eterna Schiavitù agli insegnamenti, alle usanze e alla storia rimarrà Schiavitù anche se si dipingerà il volto e altererà la propria voce. La Schiavitù resterà Schiavitù in tutta la sua orribile forma, anche se vorrà chiamarsi Libertà.
No, Fratello mio, l'Occidente non è superiore né inferiore all'Oriente, e la differenza che passa fra i due non è maggiore della differenza tra la tigre e il leone. Dietro la maschera della società, ho scoperto una legge giusta e perfetta, che compensa la miseria, la prosperità e l'ignoranza, non preferisce una nazione ad un'altra né opprime una razza per arricchirne un'altra».
«Allora la civiltà è cosa vana», esclamai, «e tutto ciò che si trova in essa è vano!»
«Si» rispose prontamente il mio interlocutore, «la civiltà è cosa vana e tutto ciò che in essa si trova è vano... Invenzioni e scoperte non sono che divertimento e comodità per il corpo quando è stanco e affaticato. La conquista delle lunghe distanze e la vittoria sui mari sono soltanto falsi frutti che non soddisfano l'anima, non nutrono il cuore né sollevano lo spirito, perché sono lontani dalla natura. E le strutture e le teorie che l'uomo chiama conoscenza e arte non sono altro che ceppi e catene dorate che l'uomo si trascina dietro, rallegrandosi dei loro scintillanti riflessi e dei loro suoni squillanti. Sono delle robuste gabbie le cui sbarre l'uomo stesso ha cominciato a fabbricare secoli fa, senza accorgersi che le stava costruendo dall'interno e che, quindi, sarebbe presto diventato prigioniero di se stesso per l'eternità.
Si, sono vane le azioni dell'uomo, così come sono vani i suoi scopi, e tutto è vanità su questa terra».
... poi soggiunse:
«E tra tutte le vanità della vita, c'è una sola cosa che lo spirito ama e desidera ardentemente.
Una cosa abbagliante e unica».
«Quale?», chiesi con voce fremente.
Yusif mi guardò per un istante che mi parve lunghissimo, poi chiuse gli occhi. Si mise le mani sul petto, mentre gli s'illuminava il volto e, con voce serena a sincera, rispose:
«È un risveglio dello spirito; è un risveglio dei più intimi recessi del cuore; è una forza travolgente e magnifica che piomba all'improvviso sulla coscienza dell'uomo e gli apre gli occhi, permettendogli così di vedere la Vita nel mezzo di un inebriante scroscio di splendida musica, circondata da un'intensa luce, con l'uomo a fare da pilastro di bellezza tra la Terra e il firmamento. È una fiamma che divampa all'improvviso nello spirito e purifica il cuore, innalzandosi sopra la Terra e librandosi nell'ampio Cielo. È una gentilezza che avvolge il cuore dell'individuo, che perciò si sente spinto a disapprovare chiunque vi si opponga, e si rivolta contro quanti rifiutano di comprenderne l'alto significato.
È una mano segreta che ha rimosso il velo che stava davanti ai miei occhi quando facevo parte della società in mezzo alla mia famiglia, ai miei amici e ai miei concittadini.
Molte volte mi sono meravigliato e mi son detto: "Cos'è questo Universo, e perché sono diverso dalle persone che mi guardano, come faccio a conoscerle, dove le ho incontrate e perché vivo in mezzo a loro? Sono forse un estraneo fra loro, oppure sono essi estranei a questa terra costruita dalla Vita, che me ne ha affidato le chiavi?"».
Yusif tacque all'improvviso, come se ricordasse qualcosa che aveva visto molto tempo prima e si rifiutasse di rivelarla. Quindi protese le braccia e sussurrò:
«Questo è quel che mi accadde quattro anni fa, quando lasciai il mondo e venni in questo luogo deserto, per vivere nel risveglio della vita e godere dei buoni pensieri e del magnifico silenzio».
Andò verso la porta, guardando la profonda oscurità come se si accingesse a rivolgersi alla tempesta. Ma parlò con voce vibrante e disse:
«È un risveglio dello spirito; chi lo conosce non riesce a rivelarlo attraverso le parole; e chi non lo conosce, non potrà mai riflettere sull'irresistibile e splendido mistero dell'esistenza».
[Segue un pezzo nel quale Yusif istruisce Gibran affinché trascorra la notte nel miglior modo, e lo invita a non esitare a rifugiarsi in quel posto se mai dovesse essere colto nuovamente da un'altra tempesta e nel contempo non avesse imparato ad affrontarla come si dovrebbe. Poi il saggio eremita lascia l'eremo per godere di una passeggiata notturna con la tempesta per e "sentire" da vicino la manifestazione della natura]
...aprì la porta e uscì nell'oscurità. Io rimasi sulla porta per vedere quale direzione avesse preso, ma era già scomparso dalla vista. Per un po', udii il suono dei suoi passi sulle pietre spezzate della valle.
Quando dopo una notte di profondi pensieri, arrivò il mattino, la tempesta era cessata, il cielo era limpido e i monti e le pianure facevano festa sotto i caldi raggi del sole.
Mentre tornavo in città, sentii il risveglio spirituale di cui aveva parlato Yusif El Fakhri attraversare con furia ogni fibra del mio essere, pensai che tutti mi vedessero fremere, e quando mi calmai, tutto in me era bellezza e perfezione.
Non appena fui nuovamente fra i disgustosi esseri umani, ne udii le voci e ne vidi le azioni, mi fermai e dissi dentro di me:
«Sì, il risveglio spirituale è la cosa più essenziale nella vita dell'uomo, è l'unico scopo dell'esistenza. Non è forse la civiltà, in tutte le sue tragiche forme, un motivo supremo per il risveglio spirituale? Allora come possiamo negare l'esistenza della materia, se tale esistenza è la prova inconfutabile della sua adattabilità alla condizione voluta? L'attuale civiltà ha forse scopi evanescenti, ma la legge eterna ha offerto a tali scopi una scala i cui gradini possono condurre ad una sostanza libera».
[Il racconto di Kahlil Gibran che ho voluto sottoporvi termina qui, dopo una breve morale. Spero di avervi fornito buoni spunti di riflessione]
* Frammenti liberamente estratti da:
I SEGRETI DEL CUORE
KHALIL GIBRAN KHALIL (1883-1931)
Traduzione di Giampiero Cara
Tascabili Newton
(ediz. ott. "95