risucchio 2

toknow
00mercoledì 6 ottobre 2004 18:36
scusate se riprendo discussioni già trattate, ma sto cercando di analizzare e capire cose che a differenza della maggior parte di voi mi sono accadute involontariamente e quando purtroppo ero troppo piccolina per cercare di trovare delle risposte.
Il risucchio di cui parla angelobe l'ho provato tantissimi volte (avevo forse non più di 10 anni) mi sentivo attirata ma forse è giusto dire risucchiata come in un vortice, cercavo fisicamente di rimanere attaccata in tutti i modi al letto ma il mio corpo era paralizzato. Era una lotta estenuante ma riuscivo comunque a non farmi risucchiare, era come avere vicino un potente aspiratore. Mi svegliavo terrorizzata, cercavo di spiegarlo a mia madre, mi succedeva così spesso che mia madre si decise a portarmi dal medico e successivamente dietro suo consiglio da un otorino. Nulla di fatto. Il mio corpo stava bene. E' da quel momento che ho deciso di non proferire più parola con nessuno. Ma le vicende angosciose sono continuate. Le risposte sono arrivate solo ora ma la paura inenarrabile di una bambina di 10 anni è ancora là.
mondstrahl
00giovedì 7 ottobre 2004 10:13
Ciao, Toknow,
purtroppo quello che ti è successo è molto frequente: i bambini non hanno preconcetti o schemi predisegnati, quindi è molto semplice per loro avere contatti col trascendentale (basti pensare alla frequenza degli "amici immaginari"), così come è molto, troppo semplice che questi contatti vengano bollati dai genitori come "fantasie infantili", se non addirittura, come nel tuo caso, come problemi.
Da questo deriva la sensazione che quasi tutti noi ci portiamo appresso: diversità, anormalità, paura, in certi casi addirittura senso di colpa.
Il primo step è superare queste cose, renderci conto che quel che ci succede non solo è normale, ma addirittura GIUSTO! La nostra è solo una sensibilità amplificata, non una tara mantale o fisica. Purtroppo, dirlo è facile, applicarlo un po' meno, quindi tu ti trovi a convivere ancora con le paure inenarrabili di quando eri piccola, che non avresti, se tua madre (ovviamente dopo averti portato da un dottore ed aver escluso problema fisico) ti avesse spiegato che era normale, che avevi solo una sensibilità maggiore di tanti altri, quindi non eri "sbagliata", ma solo dotata di un dono poco comune. Tua madre, come la maggior parte delle persone, non era preparata, come non lo era la mia, pur essendo lei stessa (e molto più di me!) sensitiva.
Ora sta tutto in noi, nel voler sinceramente andare avanti nel nostro cammino, passo dopo passo al fianco di altre persone che hanno le stesse capacità e che non sono pazze per questo.
Il risucchio è la tua tendenza naturale ad avere Oobe, ad uscire dal corpo (beata te! sappi che ti invidio... io non ci riesco!); analizzalo con tranquillità e sfruttalo. E' come avere una marcia in più, che molti di noi vorrebbero avere, io per prima!
A presto
toknow
00giovedì 7 ottobre 2004 15:05
grazie mondstrahl per le tue parole, sappi che ora mia madre e le mie sorelle vengono da me a chiedermi consigli o spiegazioni se hanno delle esperienze "particolari". Mi hanno classificata come la mistica della famiglia e ora mi accettano per quella che sono. Tu come tanti altri mi dite che ho "una marcia in più" che ho un "dono" che altri non hanno, una sensitiva mi ha detto che devo usare questa mia dote per aiutare gli altri, ma io rimango piena di punti interrogativi. Di una cosa sono sicura è che qualcuno o qualcosa mi chiama "dall'altra parte", penso che abbiamo cercato in mille maniere di contattarmi finchè ad un certo punto ho chiesto ed ottenuto che mi lasciassero in pace. Però ora non sono in pace con me stessa, continuo ad avere obe ma penso a livelli molto bassi. So anche qual'è la paura più recondita che mi blocca sia in questo mondo che altrove "la solitudine". Come sarebbe bello avere delle esperienze tutti insieme mano nella mano, come quella mano che da piccola stringevo a mia madre ogni volta che dovevo addormentarmi (per la cronaca ora ho 37 anni).
Re Gabriel
00giovedì 7 ottobre 2004 17:01
Ciao Toknow, volevo chiederti cosa intendi per "SOLITUDINE"...molto in profondità però! E' un argomento che mi sta molto a cuore e vorrei capire da te e da gli altri cosa ne pensate! A volte si parla di solitudine...ma realmente sappiamo cosa significa?
Perchè secondo te dovremmo prenderci per mano...che esperienza sarebbe se tu fossi insieme ad un altro/i? ci hai mai pensato?
credo sia protezione? quindi paura? ma se è paura cosa centra la solitudine? In parte centra me ne rendo conto..forse è una conseguenza! VORREI CAPIRE! Perchè non riesco proprio a comprendere questo stato psicologico!



Ciò che ora dobbiamo cercare di fare, quindi, è studiare noi stessi, non secondo gli insegnamenti miei o di qualche analista o filosofo - poiché se studiamo noi stessi secondo gli insegnamenti di qualcun altro, studiamo loro, non noi stessi - quello che dobbiamo cercare di fare è studiare quello
che realmente siamo. Una volta che si è compreso che non dobbiamo dipendere da alcuna autorità
esteriore nel generare una totale ribellione nella struttura della nostra psiche, compare la difficoltà immensamente più grande di rigettare la nostra
autorità interiore, l'autorità delle nostre particolari piccole esperienze e il cumulo di opinioni, conoscenze, idee e ideali.



aspetto risposte!
con amicizia gabriele[SM=g27823]
Re Gabriel
00giovedì 7 ottobre 2004 17:24
SULLA PAURA!
ciao toknow...questo è uno scritto che avevo postato qualche mese fa sulla PAURA...ti consiglio di leggerlo...so che è lungo ma molto molto interessante!

insisto molto su questo punto perchè credo sia il problema principale!
A cosa serve cercare di ottenere le oobe se prima non approfondiamo su NOI stessi?

BUONA LETTURA![SM=g27823]
Che cos'è la paura? La paura può esistere solo in relazione a qualcosa, non isolatamente. Come posso aver paura della morte, come posso aver paura di qualcosa che non conosco? Solo ciò che mi è noto può farmi paura. Quando dico che ho paura della morte, ho davvero paura dell'ignoto, che è la morte, o invece ho paura di perdere ciò che ho conosciuto? La mia paura non ha per oggetto la morte, ma l'idea di perdere i miei legami con le cose che mi appartengono. La paura è sempre in relazione con ciò che è noto, non con l'ignoto.
La mia indagine verterà ora sulle possibilità di essere liberi dalla paura di ciò che conosciamo, la paura di perdere la propria famiglia, la reputazione, il carattere, il conto in banca, i desideri e così via. Potreste obiettare che la paura nasce dalla coscienza; ma la coscienza è plasmata dai condizionamenti, e dunque è ancora frutto di ciò che è conosciuto. Ma cos'è che conosco? La conoscenza consiste nell'avere idee, opinioni sul conosciuto, e nient'altro. Le idee sono ricordi, il risultato dell'esperienza, che è la risposta a uno stimolo. Ho paura di ciò che conosco, il che significa che ho paura di perdere certe persone, cose o idee, ho paura di scoprire ciò che sono, paura di essere confuso, paura del dolore che potrebbe sopravvenire qualora perdessi o non vincessi o non provassi più piacere. Si ha paura del dolore. Il dolre fisico è una reazione nervosa, mentre la sofferenza psicologica insorge quando mi aggrappo alle cose che mi danno soddisfazione, perchè allora ho paura di chiunque o di qualunque cosa possa portarmele via. Fin tanto che nn vengono turbate, le accumulazioni psicologiche impediscono la sofferenza interiore; io sono un fascio di accumulazioni, di esperienze, che impediscono qualunque forma grave di turbamento...e non voglio essere turbato. Perciò ho paura di chiunque le turbi.Dunque la mia paura è paura di ciò che conosco; ho paura delle accumulazioni, fisiche o psicologiche, che ho acquisito al fine di evitare il dolore o prevenire la sofferenza. Ma la sofferenza è insita nel processo stesso di accumulazione volto a evitare il dolore. Anche la conoscenza aiuta a prevenire il dolore.Come le conoscenze mediche aiutano a prevenire il dolore fisico, così le credenze aiutano a impedire la sofferenza psicologica.Ecco perchè ho paura di dover rinunciare alle mie credenze, sebbene non abbia nè una perfetta conoscenza, nè una prova concreta della loro realtà.Posso forse respingere alcune delle credenze tradizionali che mi sono state inculcate perchè la mia esperienza personale mi dà forza, fiducia, comprensione; ma le credenze e le conoscenze che ho acquisito sono fondamentalmente la stessa cosa: un mezzo per evitare il dolore. La paura esiste fintanto che esiste accumulazione di cose conosciute, il che dà origine alla paura di perderle.Dunque, la paura dell'ignoto è in realtà paura di perdere le cose note accumulate. Nel momento stesso in cui dico, "Non devo perdere ciò che ho", ecco insorgere la paura.Benchè io accumuli al fine di evitare il dolore, quest'ultimo è inerente al processo di accumulazione. Le cose stesse che posseggo originano paura, che è dolore.la difesa contiene in nuce l'offesa.Voglio la sicurezza fisica;dunque creo uno Stato sovrano, che necessita di forze armate, il che significa guerra, la quale distruggela sicurezza.Dovunque ci sia desiderio di AUTOPROTEZIONE, è presente la paura. Quando percepisco la fallacia delle richieste di sicurezza, smetto di accumulare. Se affermate di percepire tutto ciò, ma di non poter fare a meno di accumulare, è perchè non vi rendete davvero conto che nell'accumulazione è intrinsecamente presente il dolore.La paura esiste nel processo di accumulazione e la credenza in qualcosa è parte di tale processo.Mio figlio muore, e io credo nella reincarnazione che mi impedisce, psicologicamente, di soffrire di più; ma nel processo stesso del credere è insito il dubbio. Esternamenteaccumolo beni e così scateno la guerra; internamente accumolo credenze, e porto sofferenza.Fin quando avrò questo bisogno di sicurezza, questo desiderio di avere conti in banca, di assicurarmi il piacere e così via, questa volontà di diventare qualcosa, fisiologicamente o psicologicamente, ci sarà inevitabilmente dolore. Le medesime cose che faccio per evitare il dolore mi portano paura, sofferenza.la paura insorge quando desidero essere parte di un determinato schema.Vivere senza paura significa vivere senza uno schema determinato.Quando aspiro a un particolare stile di vita, questo è già in sè fonte di paura. La mia difficoltà consite nel desiderio di vivere in un certo contesto. Non posso spezzare tale contesto?Posso farlo solo quando intuisco la verità:che il contesto genera paura e che la paura rafforza il contesto.Se dico che devo spezzare il contesto perchè voglio essere libero dalla paura, allora mi limito a seguire un altro schema che generà ulteriore paura. Qualunque azione io intraprenda che sia motivata dal desiderio di spezzare il contesto, creerà soltanto un altro schema, e perciò ancora paura. Come fare a spezzare il contesto senza generare paura, ossia senza alcuna azione conscia o inconscia da parte mia che abbia questo come obiettivo?Ciò significa che non devo agire, non devo fare alcuna mossa per spezzare il contesto. Cosa mi accade se mi limito a osservare il contesto senza fare niente per cambiarlo?Capisco che la mente stessa è contesto; essa vive secondo lo schema di abitutini che si è costruita.Dunque, la mente stessa è paura.Qualunque cosa la mente faccia va nella direzione del rafforzamento di un vecchio schema o nella promozione di uno nuovo.Ciò significa che qualunque cosa la mente faccia per sbarazzarsi della paura genera paura.La paura trova varie scappatoie.Il tipo più comune è l'identificazione, non è così?Identificazione con la nazione, con la società, con un'idea.Avete mai fatto caso alle vostre reazioni alla vista di una processione religiosa o di una parata militare, o quando il paese corre il rischio di essere invaso?Allora vi identificate con il paese, o con un essere, oppure con un'ideologia.Ci sono altre occasioni in cui vi identificate con vostro figlio, con vostra moglie, con una particolare forma di azione o di inazione.L'identificazione è un processo di oblio di sé. Fin quando sono cosciente dell'"io", so che c'è dolore, c'è lotta, c'è costantemente paura.Ma se posso identificarmi con qualcosa di più grande, con qualcosa che ne valga la pena, non la bellezza, con la vita, con la verità, con la fede, con la conoscenza, almeno temporaneamente, ecco una possibilità di fuga dall'"io", non è così? Se parlo del mio paese, temporaneamente dimentico me stesso, non è così?Se posso affermare qualcosa a proposito di Dio, dimentico me stesso.Se posso identificarmi con la mia famiglia,con un gruppo, con un certo partito, con una determinata ideologia, ecco altrettante scappatoie temporanee.L'identificazione è dunque una forma di fuga dal sé, anche se mascherata da virtù è pur sempre una fuga dal sé.Colui che persegue la virtù fugge dal sè e ha una mente ristretta, non virtuosa, poichè la virtù è qualcosa che non si può perseguire.Quanto più ci si sforza di diventare virtuosi, tanta più forza si da al sé, all'"io".La paura, che in forme diverse è comune a tutti noi, deve sempre trovare un sostituto e, di conseguenza, deve fomentare la nostra lotta.Quanto più ci identifichiamo con un sostituto, tanto maggiore è la forza con la quale ci aggrappiamo a ciò per cui siamo pronti a combattere e a morire, perchè dietro di esso si nasconde la paura. Ma sappiamo cos'è la paura? Non è forse la non accettazione di ciò che è? Dobbiamo capire il termine accettazione: non lo utilizzo per indicare lo sforzo fatto per accettare.Quando percepisco ciò che è, la questione dell'accettare non si pone affatto.Quando non vedo con chiarezza ciò che è, allora introduco il processo di accettazione. Di conseguenza, la paura è la non accettazione di ciò che è. Come posso io, che sono un fascio di reazioni, risposte, ricordi, speranze, depressioni, frustrazioni,io, che sono il risultato del movimento della coscienza bloccata, andare oltre? Può la mente, senza questi blocchi, questi ostacoli, essere cosciente? Sappiamo quant'è straordinaria la gioia che si prova quando non c'è alcun ostacolo.E' noto a tutti noi che quando il corpo è in perfetta salute, c'è una certa gioia, un certo benessere;e sappiamo anche che quando la mente è completamente libera, senza alcun blocco, quando il centro di riconoscimento costituito dall'"io" non è presente, si ha esperienza di una cera gioia.Non avete forse sperimentato questo stato di assenza del sé? Certamente questa è una esperienza comune a tutti.C'è comprensione e libertà dal sé solo quando riesco a considerarlo integralmente come un tutto; e posso riuscirci solo comprendendo il processo globale di tutte le attività nate dal desiderio, che è l'espressione stessa del pensiero...poichè il desiderio non è diverso dal desiderio, senza giustificarle, senza condannarle, senza reprimerle; se riesco a comprendere questo, allora saprò se c'è la possibilità di superare le limitazioni del sè.

spero siate arrivati fin qua!
(tratto dal capitolo del libro "La ricerca della felicità" di Jiddu Krishnamurti...sulla paura).

ciao[SM=g27828]
mondstrahl
00giovedì 7 ottobre 2004 18:02
Solitudine... solitudine è solo il diritto di perdersi in troppi pensieri, il diritto di schiudere al cielo, e SOLTANTO al MIO cielo, il mio cuore smarrito che non sa capire.
Solitudine è la sensazione che ti salta addosso quando a cena a casa del tuo migliore amico ti trovi a parlare con altre persone di argomenti trascendentali e vedi lui che sbianca, vergognandosi e cercando di cambiare discorso. E' tuo padre che ride dei libri che leggi, è tua zia che ti guarda come se fossi pazza, è il tuo ragazzo che non ti segue mentre parli.
E' l'impossibilità di condividere ciò che per te è importante. E' l'obbligo di tenerti tutto dentro, fino ad esplodere, per non essere giudicata male. Per non vederli ridere o preoccuparsi per la tua sanità mentale.
E' ripeterti, fino alla nausea, che in fondo il giudizio degli altri non è importante, che hai le tue idee, le tue passioni, che non sono sbagliate, ma solo diverse, che non devi buttare via solo perchè te lo dicono TUTTI da sempre.
Solitudine è trovarsi, ad un certo punto, convinta di non essere sbagliata, ma solo diversa, e a quel punto è ascoltare i tuoi passi sulla strada e sentirti lontana, molto lontana, e scrollare le spalle quando il tuo ragazzo si mette a piangere perchè te ne stai andando, o il tuo migliore amico ti guarda sbigottito quando si rende conto che la vostra amicizia è finita.
Solitudine è imparare ad essere Vento del Nord, che tutto raggela, che sposta la nuvole, sfiora i capelli, e poi se ne va.
Solitudine è imparare ad andarsene scrollando le spalle.
E aver voglia di parlarne con qualcuno, ma ci sono centinaia di persone che darebbero un braccio per sentirmi parlare, ma non c'è nessuno che possa capire la mia lingua.
La solitudine è l'invenzione peggiore che l'uomo abbia fatto: in realtà non esiste, non dovrebbe esistere perchè dovremmo bastare a noi stessi. Ma io non sono ancora riuscita a convincermene.
E allora mi sento sola.
Re Gabriel
00giovedì 7 ottobre 2004 18:23
ciao mondstrahl, grazie per avermi risposto così in fretta...però ho qualche perplessità ancora...tu mi hai descritto molto bene, e anche un po romanticamente, gli effetti che la solitudine porta nel viverla...ma dentro di te la solitudine è un'altra cosa!

VORREI FARTI RIFLETTERE SU dei punti...


E' l'impossibilità di condividere ciò che per te è importante. E' l'obbligo di tenerti tutto dentro, fino ad esplodere, per non essere giudicata male. Per non vederli ridere o preoccuparsi per la tua sanità mentale.



che cosa significa che vuoi sentirti dire che tutto quello che dici o provi è vero? vuoi in un certo senso comprendere che quello che vivi non è frutto della tua fantasia? ...


Solitudine è imparare ad essere Vento del Nord, che tutto raggela, che sposta la nuvole, sfiora i capelli, e poi se ne va.
Solitudine è imparare ad andarsene scrollando le spalle.



spiegami meglio...scrollare le spalle è rassegnazione!? ...


La solitudine è l'invenzione peggiore che l'uomo abbia fatto: in realtà non esiste, non dovrebbe esistere perchè dovremmo bastare a noi stessi. Ma io non sono ancora riuscita a convincermene.
E allora mi sento sola.



si questa è rassegnazione! [SM=g27823]
vorrei capire: cosa fai per non sentirti sola?...cioè come fai e quando non ti senti sola?

ultimissima domanda?
-che cosa è l'"io"?

ciao
mondstrahl
00venerdì 8 ottobre 2004 09:32
Re:
Fischi, che terzo grado!
OK, andiamo per ordine:



che cosa significa che vuoi sentirti dire che tutto quello che dici o provi è vero? vuoi in un certo senso comprendere che quello che vivi non è frutto della tua fantasia? ...



So già che quello che vivo NON è solo frutto della fantasia: mi piacerebbe che mi dicessero che ho sempre ragione, che sono brava e buona e intelligente, che meno male che esisto altrimenti non saprebbero come fare… si, mi piacerebbe, ma so che non è possibile, quindi mi accontenterei, semplicemente, che chi mi sta intorno non partisse SEMPRE col presupposto che sbaglio. Poi, alla fine, magari mi danno ragione, e come è successo a Toknow anche a me ora chiedono consiglio… ma quanta fatica!


spiegami meglio...scrollare le spalle è rassegnazione!? ...



no, è indifferenza.



E allora mi sento sola.

si questa è rassegnazione! [SM=g27823]



Si, questa è rassegnazione [SM=g27828]



vorrei capire: cosa fai per non sentirti sola?...cioè come fai e quando non ti senti sola?


cerco di parlare, perchè la speranza è l’ultima a morire, cerco di farmi capire, ma non sempre è possibile, e allora…prego Wakan Tanka perchè mi dia il coraggio di cambiare ciò che può essere cambiato, la forza di accettare ciò che non può essere cambiato e la saggezza di capirne la differenza. Faccio ReiKi. Mi sfogo col mio compagno (fino a quando non mi abbatterà a colpi di scure…). Oppure mi mangio un pezzo di cioccolata e vado a giocare coi conigli.



ultimissima domanda?
-che cosa è l'"io"?


[SM=g27833] [SM=g27833] [SM=g27833]
ma porca miseria, qualcosa di più semplice?!?
L’IO è l’insieme di emozioni, sentimenti, passioni, idee che fa di una persona un essere unico. E’ la misura del nostro egoismo e della nostra immaturità, perchè in realtà dovremmo capire di essere parte di un tutto, e non solo un organismo separato. Ma forse tra qualche millennio, tra qualche decina di reincarnazioni, riuscirò a convincermi di questa mia idea…

Ti direi “Grazie per avermi fatto riflettere”, ma in realtà mi hai fatto venire mal di testa, quindi ti mando solo una pernacchia! PRTTTT! [SM=g27828]

Re Gabriel
00venerdì 8 ottobre 2004 10:15
ok ti ringrazio per avermi risposto! SCUSA PER IL TERZO GRADO!
(anche se non voleva esserlo)...

la pernacchia però te la rimando Prrrrrrrrrrt![SM=g27837]

ciao alla prossima![SM=g27823]
DanaTn1
00venerdì 8 ottobre 2004 10:34
Si odono pernacchie sul forum o sono vibrazioni acustiche? [SM=g27828]
Re Gabriel, xkè tanta curiosità sulla solitudine, tu non ti sei mai sentito solo?!
Re Gabriel
00venerdì 8 ottobre 2004 11:23
ciao DanaTn1,
volevo capire l'origine della solitudine...
la domanda che mi hai fatto "tu non ti sei mai sentito solo?" è un pò generica...bisognerebbe capire che cosa intendi dire per solo!
Vedi esiste essere SOLI perchè non hai amici..perchè forse ti sei trasferito da poco in un posto e quindi non conosci nessuno!
Oppure ti senti SOLO perchè nessuno "considera" i tuoi discorsi...nessuno ti dice che sei bello!...nessuno ti "rispetta" per quello che sei! e allora questa è un'altra solitudine!

Sentirsi soli significa tante cose! Nessuna di queste però è importante per me!
Ti spiego subito il perchè![SM=g27823]

Noi vogliamo dagli amici, papà, mamma, cugni, fratelli, fidanzate/i ecc. ecc. ecc. il "RISPETTO" su quello che diciamo, facciamo e vogliamo...perchè altrimenti non saremmo "felici".
Vogliamo delle conferme e come afferma mondstrahl:

mi piacerebbe che mi dicessero che ho sempre ragione, che sono brava e buona e intelligente, che meno male che esisto altrimenti non saprebbero come fare…



questa secondo il mio modestissimo parere non è solitudine...non voglio dire che cosa mi sembra perchè non vorrei offendere nessuno...ma vedi ho fatto caso ad una cosa! TENDIAMO a dire sempre: io vorrei..., io voglio..., mi piacerebbe...
MA SIAMO COSì IMPORTANTI? E' davvero importante che qualcuno accetti quello che dici? E' importante tutto questo?

Quindi sono arrivato all'origine della solitudine...e credo sia l'"io"!
Adesso non ho tempo per parlare dell'io...affronterò questo discorso un'altra volta! [SM=g27823]

FRASE: La solitudine è capire...capirsi e saper aspettare...la solitudine è crescita!

ciao[SM=g27828]
delia3
00sabato 9 ottobre 2004 02:28
io credo che la solitudine non esista...
credo che quello che spesso cerchiamo negli altri è amore,amicizia,certezze e sicurezze...
ma è SBAGLIATO cercare negli altri delle CERTEZZE!!!
Noi per primi dobbiamo essere sicuri di quello che siamo e che quello che ci accade è reale.
Noi per primi ci dobbiamo bastare, ci dobbiamo amare...
LE RISPOSTE SONO TUTTE DENTRO DI NOI...
Quello che a noi manca lo cerchiamo poi fuori nelle altre persone... Ma questo è sbagliato perchè ci crea una sorta di dipendenza,di schiavitù... che non ci permette di essere liberi.
Fino a che non troveremo tutto ciò di cui abbiamo bisogno dentro di noi esisterà la solitudine.Quando staremo bene con noi stessi DA SOLI non avremo più bisogno di cercare nulla fuori e allora stare con gli altri sarà piacevole... non una ricerca di chissà cosa...

io spero che mi abbiate capito...[SM=g27829]

Anch'io so che è brutto quando incontri persone che non parlano la tua lingua...e quante volte ho pensato "Sto male e sto perdendo tempo..."
e ho una voglia pazza di scappare...come se quella povertà spirituale mi potesse contagiare...

Sento una TENSIONE pazzesca... vorrei fuggire...da questa vita che non mi basta più...

Mi chiedo se sono regolare o no[SM=g27828]

Spike The Dark
00sabato 9 ottobre 2004 14:12
Ti sei perfettamente spiegata delia [SM=g27811]
Re Gabriel
00sabato 9 ottobre 2004 17:36
. . . . . Yusif El Fakhri aveva trent'anni quando si ritirò dalla società per andare a vivere in un eremo che si trovava nei pressi della Valle Kedeesha, nel Libano settentrionale.

.....molti erano sicuri che fosse un mistico che si beava del mondo spirituale, anche se la maggior parte della gente sosteneva che si trattasse di un pazzo. Quanto a me, non potevo trarre alcuna conclusione riguardo a quell'uomo, poiché sapevo che doveva esserci un segreto racchiuso in fondo al suo cuore e non mi sembrava il caso di affidarne la rivelazione a delle semplici congetture.
Avevo a lungo sperato che mi si presentasse l'opportunità di incontrare quello strano uomo e mi ero sforzato di conquistarne l'amicizia per vie traverse, poiché volevo studiare la sua visione della realtà e apprendere la sua storia indagando sullo scopo della sua vita, i miei sforzi però risultarono vani.

[Gibran nei paragrafi seguenti spiega di avere incontrato l'eremita varie volte senza però essere mai riuscito a dialogare con lui]

...un bel giorno venni sorpreso da una forte tempesta, nei paraggi della sua dimora. Ebbi così il pretesto di entrare nel suo umile eremo ed i miei vestiti bagnati, servirono come scusa per trattenermi .

[dopo un certo palese 'risentimento' di Yusif per la forzata intrusione di Khalil, nasce uno scambio di ironiche e sottili battute sulla tempesta e sui pericoli legati ai fenomeni naturali]

...poi si mosse verso una panca di legno accanto al caminetto e m'invitò a sedermici sopra e ad asciugarmi gli abiti; riuscivo a stento a controllare la mia euforia.

[Yusif era intento a soccorrere un uccello morente, col capo ferito e le ali spezzate]

...prese una sorta di unguento e lo spalmò delicatamente sul capo e sulle ali del volatile. Senza alzare lo sguardo disse:
«I forti venti hanno fatto cadere questo uccello sulle rocce tra la Vita e la Morte».
Restituendo la similitudine replicai:
«E i forti venti mi hanno spinto alla deriva fino alla tua porta, giusto in tempo per evitare di ferirmi alla teste e di spezzarmi le ali».
Mi guardò con serietà e disse:
«È mio desiderio che l'uomo dimostri l'istinto degli uccelli e che la tempesta spezzi le ali della gente, poiché l'uomo è incline alla paura e alla vigliaccheria e, non appena sente il risveglio della tempesta, striscia nelle crepe e nelle caverne della terra e si nasconde».
Il mio scopo era quello di riuscire a carpirgli la storia dell'esilio che si era autoimposto, perciò lo provocai:
«Sì, gli uccelli sono in possesso di un senso dell'onore e di un coraggio che l'uomo non possiede... L'uomo vive nell'ombra di leggi e di consuetudini da lui stesso create e foggiate secondo le sue esigenze, mentre gli uccelli vivono secondo quella stessa Legge Eterna di libertà che spinge la Terra a seguire la sua ampia orbita intorno al Sole».
Gli s'illuminarono il volto e gli occhi, come se avesse trovato in me un discepolo in grado di comprenderlo, ed esclamò:
«Ben detto! Se credi nelle tue parole, allora devi abbandonare la civiltà con le sue leggi e le sue tradizioni corrotte e vivere come gli uccelli, in un luogo in cui manca tutto tranne la grandiosa legge del Cielo e della Terra».
«Credere è una bella cosa, ma mettere in atto le cose in cui si crede è una prova di forza. Sono molti coloro che parlano come il fragore del mare, ma la loro vita è poco profonda e stagnante come una putrida palude. Sono molti coloro che levano il capo al di sopra delle cime delle montagne, ma il loro spirito rimane addormentato nell'oscurità delle caverne».
S'alzò tremante dal suo sedile e pose l'uccello su un pezzo di stoffa ripiegato accanto alla finestra.

[A quel punto l'eremita Yusif iniziò a dimostrarsi ospitale verso Gibran e questo alimentò le speranze dell'autore di poter "indagare" a fondo sulla vita del misterioso uomo. Nel testo originale seguono varie domande poste dall'autore e interessanti osservazioni di entrambi. Yusif offrì poi da mangiare e da bere al suo ospite mostrando un certo impegno affinché non gli mancasse nulla. Versò del vino, del caffè e gli diede del tabacco e lo chiamò Fratello]

...senza credere ai miei occhi. Egli mi guardò sorridente e, dopo aver aspirato profondamente dalla sua sigaretta e sorseggiato un po' di caffè, disse:
«Senza dubbio, starai riflettendo sul fatto che, in un luogo come questo, ci siano vino, tabacco e caffè, e forse ti meraviglierai del cibo e delle comodità di cui dispongo. La tua curiosità è del tutto giustificata, poiché sei uno dei tanti a credere che, stando lontano dalla gente, si debba rinunciare alla vita e astenersi da tutti i suoi piaceri».
«Sì», convenni subito,
«i saggi raccontano che chi abbandona il mondo per venerare Dio soltanto si lascerà alle spalle tutti i piaceri e l'abbondanza della vita, accontentandosi dei soli frutti di Dio e basando la propria sussistenza esclusivamente su piante e acqua».
Dopo una pausa gravida di riflessione disse:
«Avrei potuto venerare Dio continuando a vivere tra le Sue creature, perché la venerazione non richiede necessariamente la solitudine. Non ho lasciato la gente per vedere Dio, poiché L'ho sempre visto alla casa di mio padre e di mia madre. Ho abbandonato la gente perché la loro natura contrastava con la mia, ed i loro sogni non corrispondevano ai miei... Ho lasciato gli uomini perché ho scoperto che la ruota della mia anima girava in una direzione e strideva aspramente contro le ruote di altre anime che giravano in direzione opposta. Ho lasciato la civiltà perché ho scoperto che è come un vecchio albero marcio, forte e terribile, le cui radici sono serrate nell'oscurità della terra e i cui rami si protendono al di là delle nuvole; ma i suoi fiori sono l'avidità, il male e il crimine, e i suoi frutti la sofferenza, la miseria e la paura. Chi ha cercato d'infondere in essa il bene e di modificarne la natura non è riuscita nel suo intento. È morto deluso, perseguitato e tormentato».
Yusif si chinò verso il caminetto, come se attendesse di vedere che impressione avevano fatto le sue parole nel mio cuore.
Pensai fosse meglio limitarmi ad ascoltare, ed egli continuò:
«No, non ho cercato la solitudine per pregare e per vivere da eremita...poiché la preghiera, che è il canto del cuore, giunge alle orecchie di Dio anche se confusa in mezzo alle grida e ai lamenti di migliaia di voci. Vivere da recluso vuol dire torturare il corpo e l'anima e mortificarne le inclinazioni, è un tipo di esistenza che mi ripugna, poiché Dio ha edificato i corpi come templi dello spirito, ed è nostro compito cercar di meritare e di conservare la fiducia che Dio ha riposto in noi.
No, fratello mio, non ho cercato la solitudine per motivi religiosi, ma unicamente per evitare le persone e le loro leggi, i loro insegnamenti e le loro tradizioni. le loro idee, il loro chiasso e i loro lamenti. Ho cercato la solitudine per non vedere i volti di uomini che si vendono e comprano allo stesso prezzo cose che sono spiritualmente e materialmente inferiori a loro.
Ho cercato la solitudine per non incontrare quelle donne che camminano con alterigia, con mille sorrisi sulle labbra, mentre in fondo ai loro mille cuori non c'è che un unico fine.
Ho cercato la solitudine per nascondermi dagli individui compiaciuti di sé che, nei loro sogni, vedono lo spettro della conoscenza e credono di aver raggiunto il loro scopo.
Sono fuggito dalla società per evitare coloro che, al loro risveglio, vedono soltanto il fantasma della verità, e gridano al mondo di aver acquisito totalmente l'essenza della verità stessa.
Ho abbandonato il mondo e ho cercato la solitudine perché mi sono stancato di rendere omaggio alle moltitudini che credono che l'umiltà sia una sorta di debolezza, e la compassione una specie di viltà, e lo snobismo una forma di forza.
Ho cercato la solitudine perché la mia anima non ne può più di avere rapporti con chi crede sinceramente che il sole, la luna e le stelle non sorgano se non nei loro scrigni e non tramontino se non nei loro giardini.
Sono scappato via da coloro che aspirano a cariche pubbliche, che danneggiano la sorte terrena della gente gettandogli polvere d'oro negli occhi e riempendogli le orecchie con discorsi senza senso.
Mi sono allontanato dai sacerdoti che non vivono conformemente a ciò che dicono nei loro sermoni, e che pretendono dagli altri ciò che non chiedono a loro stessi.
Ho cercato la solitudine perché non ho mai ottenuto gentilezza da un essere umano senza pagarne l'intero prezzo col mio cuore.
Ho cercato la solitudine perché detesto quella grande e terribile istituzione che la gente chiama civiltà, quella simmetrica mostruosità innalzata sulla perpetua disgrazia delle razze umane.
Ho cercato la solitudine perché in essa lo spirito, il cuore e il corpo possono trovare pienezza di vita. Ho trovato le praterie sconfinate dove riposa la luce del sole, dove i fiori esalano il loro profumo nello spazio e dove i ruscelli cantano durante la loro corsa verso il mare. Ho scoperto le montagne su cui ho trovato il fresco risveglio della Primavera, la brama piena di colore dell'Estate, i profondi canti dell'Autunno e lo stupendo mistero dell'Inverno. Sono venuto in questo remoto angolo del dominio divino perché desideravo ardentemente di conoscere i segreti dell'Universo e avvicinarmi al trono di Dio».

Yusif respirò profondamente, come se si fosse liberato di un peso.
I suoi occhi risplendevano di una strana luce magica, e sul suo volto raggiante apparivano i segni dell'orgoglio, della volontà e della soddisfazione.
Trascorsero alcuni istanti, durante i quali lo fissai con tranquillità, riflettendo sulla rivelazione di ciò che prima mi era stato nascosto; quindi mi rivolsi a lui dicendo:
«Senza dubbio hai ragione sulla maggior parte delle cose che hai detto, ma la tua diagnosi della malattia sociale dimostra anche che sei un buon medico. Credo che la società malata abbia disperatamente bisogno di un medico come te, che dovrebbe curarla o farla morire. Questo mondo afflitto implora la tua attenzione. Ritieni giusto o misericordioso tirarti indietro di fronte al paziente che soffre e negargli la tua assistenza?».
Yusif mi guardò con l'espressione pensierosa, poi disse in tono sconsolato:

«Sin dagli albori del mondo, i medici hanno cercato di guarire i disturbi della gente; alcuni hanno usato il bisturi, altri hanno fatto ricorso a pozioni, ma la pestilenza si è diffusa senza lasciare alcuna speranza. Io desidererei che il paziente si accontentasse di rimanere nel suo sudicio letto, a meditare sulle sue ferite che non si rimarginano; egli invece protende le mani da sotto la veste, afferra la gola di chiunque vada a fargli visita e lo strangola.
Quale ironia!
Il paziente malvagio uccide il dottore, poi chiude gli occhi e dice dentro di sé: "Era un grande medico".
No, fratello, nessuno può far del bene all'umanità. Il seminatore, per quanto saggio ed esperto possa essere, non può far germogliare il campo d'inverno».

«L'inverno degli uomini», ribattei, «passerà, e allora giungerà la bella primavera, e i fiori sbocceranno di certo nei campi, e i ruscelli guizzeranno di nuovo nelle valli».

Yusif s'accigliò e disse con amarezza:
«Ahimè! Dio ha forse diviso la vita umana - che è l'intero creato - in stagioni simili a quelle dell'anno? Desidererà mai una tribù di esseri umani, che ora vive nella verità e nello spirito di Dio, riapparire sulla faccia di questa terra? Giungerà mai il momento in cui l'uomo si collocherà alla destra della vita e vi dimorerà, godendo della fulgida luce del giorno e del sereno silenzio della notte? Può questo sogno trasformarsi in realtà? Può materializzarsi dopo che la Terra si è riscoperta di carne umana e s'è imbevuta del sangue umano?».

Allora s'alzò e sollevò la mano verso il cielo, come per indicare un mondo diverso, e continuò:
«Questo non è che un sogno vano per il mondo, ma io sto riuscendo a realizzarlo per me stesso, e quel che sto scoprendo qui occupa ogni spazio tanto nel mio cuore quanto nei monti e nelle valli».
A questo punto alzò il tono della sua intensa voce:
«Quel che so per certo esser vero è il pianto del mio io più profondo. Mi trovo qui, vivo, e nel profondo della mia esistenza vi è sete e fame, e provo gioia nel prendere un po' del pane e del vino contenuto nei vasi che modello con le mie stesse mani. Per questo motivo ho abbandonato il palcoscenico degli uomini per venire in questo luogo, e rimarrò qui fino alla Fine!».

[Kahlil tenta nuovamente di ribattere azzardando una discreta critica e ribadendo la sua convinzione circa la perdita subita dal suo paese coll'espatrio del saggio eremita]

...egli scosse lentamente la testa e disse:
«Questo paese è come tutti gli altri, e le persone sono tutte della stessa pasta, variano soltanto nell'aspetto esteriore, il che non ha importanza. La disgrazia dei nostri paesi orientali è la disgrazia del mondo, e ciò che in occidente viene chiamato civiltà non è che uno spettro in più tra i tanti fantasmi di un tragico inganno.
L'Ipocrisia ci sarà sempre, anche se con la punta delle dita lustra e dipinta;
l'Inganno non cambierà mai, anche se il suo tocco diverrà morbido e delicato;
la Menzogna non si tramuterà mai in Verità, neppure se la rivestirai con abiti di seta e gli offrirai dimora nel palazzo;
l'Avidità non diverrà mai Appagamento;
e neppure il Crimine si trasformerà in Virtù.
E l'Eterna Schiavitù agli insegnamenti, alle usanze e alla storia rimarrà Schiavitù anche se si dipingerà il volto e altererà la propria voce. La Schiavitù resterà Schiavitù in tutta la sua orribile forma, anche se vorrà chiamarsi Libertà.
No, Fratello mio, l'Occidente non è superiore né inferiore all'Oriente, e la differenza che passa fra i due non è maggiore della differenza tra la tigre e il leone. Dietro la maschera della società, ho scoperto una legge giusta e perfetta, che compensa la miseria, la prosperità e l'ignoranza, non preferisce una nazione ad un'altra né opprime una razza per arricchirne un'altra».

«Allora la civiltà è cosa vana», esclamai, «e tutto ciò che si trova in essa è vano!»

«Si» rispose prontamente il mio interlocutore, «la civiltà è cosa vana e tutto ciò che in essa si trova è vano... Invenzioni e scoperte non sono che divertimento e comodità per il corpo quando è stanco e affaticato. La conquista delle lunghe distanze e la vittoria sui mari sono soltanto falsi frutti che non soddisfano l'anima, non nutrono il cuore né sollevano lo spirito, perché sono lontani dalla natura. E le strutture e le teorie che l'uomo chiama conoscenza e arte non sono altro che ceppi e catene dorate che l'uomo si trascina dietro, rallegrandosi dei loro scintillanti riflessi e dei loro suoni squillanti. Sono delle robuste gabbie le cui sbarre l'uomo stesso ha cominciato a fabbricare secoli fa, senza accorgersi che le stava costruendo dall'interno e che, quindi, sarebbe presto diventato prigioniero di se stesso per l'eternità.
Si, sono vane le azioni dell'uomo, così come sono vani i suoi scopi, e tutto è vanità su questa terra».
... poi soggiunse:
«E tra tutte le vanità della vita, c'è una sola cosa che lo spirito ama e desidera ardentemente.
Una cosa abbagliante e unica».

«Quale?», chiesi con voce fremente.

Yusif mi guardò per un istante che mi parve lunghissimo, poi chiuse gli occhi. Si mise le mani sul petto, mentre gli s'illuminava il volto e, con voce serena a sincera, rispose:
«È un risveglio dello spirito; è un risveglio dei più intimi recessi del cuore; è una forza travolgente e magnifica che piomba all'improvviso sulla coscienza dell'uomo e gli apre gli occhi, permettendogli così di vedere la Vita nel mezzo di un inebriante scroscio di splendida musica, circondata da un'intensa luce, con l'uomo a fare da pilastro di bellezza tra la Terra e il firmamento. È una fiamma che divampa all'improvviso nello spirito e purifica il cuore, innalzandosi sopra la Terra e librandosi nell'ampio Cielo. È una gentilezza che avvolge il cuore dell'individuo, che perciò si sente spinto a disapprovare chiunque vi si opponga, e si rivolta contro quanti rifiutano di comprenderne l'alto significato.
È una mano segreta che ha rimosso il velo che stava davanti ai miei occhi quando facevo parte della società in mezzo alla mia famiglia, ai miei amici e ai miei concittadini.
Molte volte mi sono meravigliato e mi son detto: "Cos'è questo Universo, e perché sono diverso dalle persone che mi guardano, come faccio a conoscerle, dove le ho incontrate e perché vivo in mezzo a loro? Sono forse un estraneo fra loro, oppure sono essi estranei a questa terra costruita dalla Vita, che me ne ha affidato le chiavi?"».

Yusif tacque all'improvviso, come se ricordasse qualcosa che aveva visto molto tempo prima e si rifiutasse di rivelarla. Quindi protese le braccia e sussurrò:
«Questo è quel che mi accadde quattro anni fa, quando lasciai il mondo e venni in questo luogo deserto, per vivere nel risveglio della vita e godere dei buoni pensieri e del magnifico silenzio».

Andò verso la porta, guardando la profonda oscurità come se si accingesse a rivolgersi alla tempesta. Ma parlò con voce vibrante e disse:
«È un risveglio dello spirito; chi lo conosce non riesce a rivelarlo attraverso le parole; e chi non lo conosce, non potrà mai riflettere sull'irresistibile e splendido mistero dell'esistenza».

[Segue un pezzo nel quale Yusif istruisce Gibran affinché trascorra la notte nel miglior modo, e lo invita a non esitare a rifugiarsi in quel posto se mai dovesse essere colto nuovamente da un'altra tempesta e nel contempo non avesse imparato ad affrontarla come si dovrebbe. Poi il saggio eremita lascia l'eremo per godere di una passeggiata notturna con la tempesta per e "sentire" da vicino la manifestazione della natura]

...aprì la porta e uscì nell'oscurità. Io rimasi sulla porta per vedere quale direzione avesse preso, ma era già scomparso dalla vista. Per un po', udii il suono dei suoi passi sulle pietre spezzate della valle.

Quando dopo una notte di profondi pensieri, arrivò il mattino, la tempesta era cessata, il cielo era limpido e i monti e le pianure facevano festa sotto i caldi raggi del sole.
Mentre tornavo in città, sentii il risveglio spirituale di cui aveva parlato Yusif El Fakhri attraversare con furia ogni fibra del mio essere, pensai che tutti mi vedessero fremere, e quando mi calmai, tutto in me era bellezza e perfezione.

Non appena fui nuovamente fra i disgustosi esseri umani, ne udii le voci e ne vidi le azioni, mi fermai e dissi dentro di me:
«Sì, il risveglio spirituale è la cosa più essenziale nella vita dell'uomo, è l'unico scopo dell'esistenza. Non è forse la civiltà, in tutte le sue tragiche forme, un motivo supremo per il risveglio spirituale? Allora come possiamo negare l'esistenza della materia, se tale esistenza è la prova inconfutabile della sua adattabilità alla condizione voluta? L'attuale civiltà ha forse scopi evanescenti, ma la legge eterna ha offerto a tali scopi una scala i cui gradini possono condurre ad una sostanza libera».

[Il racconto di Kahlil Gibran che ho voluto sottoporvi termina qui, dopo una breve morale. Spero di avervi fornito buoni spunti di riflessione]

* Frammenti liberamente estratti da:
I SEGRETI DEL CUORE
KHALIL GIBRAN KHALIL (1883-1931)
Traduzione di Giampiero Cara
Tascabili Newton
(ediz. ott. "95
toknow
00lunedì 11 ottobre 2004 11:39
questa secondo il mio modestissimo parere non è solitudine...non voglio dire che cosa mi sembra perchè non vorrei offendere nessuno...ma vedi ho fatto caso ad una cosa! TENDIAMO a dire sempre: io vorrei..., io voglio..., mi piacerebbe... MA SIAMO COSì IMPORTANTI? E' davvero importante che qualcuno accetti quello che dici? E' importante tutto questo?_____________________________________________________________
Certo che è importante quando hai degli affetti vicino a te (specialmente un figlio) a cui vuoi insegnare e fare comprendere che la sofferenza e la vita in generale non è questa inutile apparenza. La solitudine è quando percepisci l’insofferenza alla vita dai tuoi cari e non trovi le parole giuste (quelle che tu conosci dentro di te) per alleviare il loro dolore. E’ l’essere SOLA contro TUTTI a spiegare che la rabbia, l’ipocrisia, l’egoismo non sono le imbarcazioni giuste per galleggiare in questo mondo. Che non bisogna per forza aggredire per non essere aggrediti. . La solitudine è quando assapori la felicità solo guardando un’incantevole paesaggio e vorresti trasmettere e far provare a tuo figlio o a tuo marito la stessa sensazione ma non ci riesci. La solitudine è bella e affascinante, è trascendere completamente dal giudizio degli altri, ma bisogna essere SOLI. Bisogna fare gli eremiti sul cucuzzolo di una montagna per poi ridiscendere e venire ad insegnare agli altri ciò che hai imparato (se ci sei riuscito). Ma questo io non lo posso fare, devo essere sempre presente e rispondere ai tanti perché che un bambino di 5 anni in continuazione ti propone e trovare le parole e gli argomenti giusti per rispondere. E allora pensi (RITORNANDO AL RISUCCHIO) che forse alcune delle risposte le potrai trovare nell’altra dimensione e quindi non ti puoi tirare indietro nel fare queste esperienze, e poi però come un cane che si morde la coda, sarai di nuovo tu SOLA questa volta contro la tua MENTE a dover analizzare cosa il tuo IO ha capito o cosa la tua MENTE ha travisato. Ecco la grande SOLITUDINE : tutte ciò che ho scritto in modo così ritorto è per molti incomprensibile e INADATTABILE alla vita che viviamo. E allora? PERSEVERIAMO!
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