Vite passate

andrea997
00venerdì 23 gennaio 2009 12:00
Il bambino scozzese che si ricorda una vita passata

Cameron è un bambino scozzese di sei anni, caschetto biondo e occhi azzurri. E’ un bambino come tanti: gli piace ridere, giocare con gli amici e disegnare.


All’asilo, racconta sua madre, iniziò a disegnare la sua casa. Era una villa bianca che si affacciava sul mare; sulla spiaggia c’era un cane maculato e, parcheggiata, un’auto nera. Molto strano, pensò la madre: la famiglia viveva a Clydebank, vicino a Glasgow, e dalla finestra della stanza del bambino non si vedevano che mattoni rossi. Nessuna spiaggia, nessun mare, nessun cane maculato e nessuna auto nera. Da quando aveva due anni il piccolo iniziò a raccontare i particolari di quella che riteneva essere la sua vita precedente e la madre iniziò a preoccuparsi seriamente.

Cameron si ricorda di una vita trascorsa a Barre, un’isola a 300 chilometri dalla sua attuale casa. Giocava sulla scogliera col cane, viaggiava molto con la famiglia: ricorda i suoi fratelli, sua madre e suo padre -un certo Shane Robertson- morto sulle strisce pedonali. Cameron non ha mai visto Barre nella sua attuale vita ma, col tempo, cresce in lui un desiderio di rivederla. A sei anni comincia a piangere per la nostalgia dei luoghi a cui era tanto affezionato. La famiglia decide allora di assecondare il suo desiderio, dopo i molti capricci e dopo l’interessamento al caso di una casa di produzione cinematografica in cerca di storie di reincarnati.


La famiglia, con telecamera e psichiatra al seguito, giunge finalmente sull’isola e, dopo un po’ di ricerche, trova una casa bianca che ha tutte le carte in regola per essere la vecchia abitazione di cui parla sempre Cameron. Il piccolo, che di solito è molto espansivo e chiacchierone, ammutolisce di colpo alla vista. E’ tutto come nei suoi ricordi: le stanze, i tre bagni, il cancelletto, il sentiero che porta in spiaggia, il mare… E’ un tuffo in un mare di ricordi che non lo possono lasciare indifferente.

La villa di Cameron, a Barre

Si effettuano delle ricerche, nel frattempo, per saperne di più del Shane Robertson che il piccolo ha indicato come suo padre: nessuno Shane, anche se in effetti una famiglia Robertson trascorse molte vacanze proprio in quel posto, una quarantina di anni fa. Cameron riconosce nelle foto il cane maculato e la grande auto nera che gli era rimasta impressa nella mente. Vorrebbe far conoscere alla sua nuova famiglia i suoi vecchi compagni, ma è tutto inutile: di loro non c’è alcuna traccia.

Cameron torna quindi alla vita di tutti i giorni, sereno e felice per avere almeno avuto la possibilità di trascorrere di nuovo un po’ di tempo nella sua Barre. Ora il suo caso ha fatto il giro del mondo e saltano allo scoperto molti altri bambini con ricordi di vite precedenti.

La spiegazione scientifica a tutto ciò non esiste. Lo psichiatra che si è interessato a Cameron avanza un’ipotesi che perfino lui trova assurda: Cameron avrebbe lo stesso corredo genetico del bambino di Barre. I ricordi racchiusi nel DNA di una persona, ancora prima di nascere: una congettura strampalata per una storia che di ordinario ha davvero poco.
luna infinita
00venerdì 23 gennaio 2009 12:27
Bellissima storia Andrea, specialmente la parte finale è interessante. Da un po’ penso che l’uomo trasformi in “folklore” tante cose che non potrebbe spiegare con strumenti che vanno al di là della parola. La reincarnazione potrebbe non essere quella cosa così come la immaginiamo di solito. Forse è il modo con cui giustifichiamo le “altre” vite, ma forse sono veramente le vite degli altri che si imprimono nell’inconscio collettivo. Il ponte, il “dispositivo” che ci mantiene connessi ad esso potrebbe essere proprio il DNA. Questo è sempre più soggetto agli studi comparati sulla coscienza e la fisica quantistica (tanto per cambiare…). Rimarremo delusi del fatto che le nostre vite passate forse non sono proprio così “nostre”…? E che magari ci sarebbe da rivedere il concetto di “mio”, “tuo”, io, tu…?
mondstrahl
00lunedì 26 gennaio 2009 13:02
Incredibile…
Ne avevo già sentito parlare, ma vedere le foto fa ancora più impressione.
Il fatto che sia un bimbo rende tutto più semplice… bravi i genitori a non ridicolizzare i suoi ricordi, a prenderlo seriamente, a fare ricerche.
Chissà a quanti di noi è capitata la stessa cosa, ma i nostri genitori non ci hanno dato retta, cancellando i ricordi che affioravano…
Ora, da adulta, ho ricordi confusi; a volte riaffiorano per un oggetto, una canzone, e mi lasciano senza fiato. Ma non riesco più a connettere i pezzi, e rimango con la vaga sensazione di aver perso qualcosa, di aver qualcosa da capire.
Ricordi miei, connessione con altri ricordi di altre persone (ma esiste l'"altro" o siamo veramente tutti interconnessi?)? Bella domanda, non ci avevo mai pensato, ma tutto può essere.

Fin da piccola ho una particolare passione per gli Indiani d’America. Quando andavo ancora alle elementari odiavo i film western che li dipingevano sempre come i cattivi; ero assurdamente convinta che non fosse così, e detestavo John Wayne. Vedendo Soldato blu ho avuto l’impressione di aver scoperto finalmente la verità. Ma a quell’età non conoscevo la storia…
Un po’ di tempo fa, facendo zapping alla radio, ho beccato una canzone di De Andrè. Parlava di bimbi che giocavano intorno al Saint Creek. Iniziai a piangere a singhiozzi, e non capivo perché. Descriveva gli alberi, l’acqua, e io piangevo, e mi chiedevo cosa fosse il Saint Creek. Quando la canzone raccontò che i sogni dei bambini stavano scivolando via sul Saint Creek sentii una fitta al cuore.
Anche in questo momento ho gli occhi lucidi…
Ascoltando la canzone fino all’ultimo, capii che raccontava dell’eccidio di Wounded Knee perpetrato dal tenente colonnello Custer (non fu mai generale!); il Saint Creek era il ruscello che scorreva accanto all’accampamento indiano attaccato, e si racconta che divenne rosso di sangue. Per la cronaca, è l’eccidio di cui racconta Soldato blu, preludio della battaglia di Little Big Horn.
Non conoscevo il nome del ruscello, né sapevo di cosa parlasse quella canzone. Ma il ricordo dei bimbi che giocavano intorno al Saint Creek mi tolse il respiro.
Alfea77
00lunedì 26 gennaio 2009 14:18
Ricordo questa storia Andrea, la trasmettono ogni tanto su Voyager.
Le ipotesi possono essere molte, DNA, coscienza collettiva, chissà...
A me piace pensare in questo caso all'ipotesi più diffusa e semplice perchè trovo che molto banalmente vivere più esistenze sia un buon modo per evolversi.
Fare RESET ogni tanto e ricominciare da capo, giocare un ruolo diverso, l'immedesimazione...credo sia il modo più efficace per comprendere tutto/tutti.
Credo, anzi sento, ogni giorno di più questa unione con il tutto, ma ancora sono legata al mio "piccolo IO" e finchè attraverso questo non farò esperienza diretta non sarò in grado di "capire" davvero, al massimo solo "sapere", limitatamente...

Mond la tua storia è davvero interessante, mi è capitato di provare una sensazione simile di stretta al cuore una volta senza capire il perchè, stupidamente così...guardando delle foto su internet di un luogo lontano, dall'altra parte del mondo.
Forse la mia è stata solo suggestione a causa di un sogno che avevo fatto, non so, non lo saprò mai e forse è meglio così. RESET!
-=Regulus=-
00lunedì 26 gennaio 2009 19:27
si anche io avevo già visto questo servizio a Voyager (ogni tanto trasmettono qualcosa di carino...).
Difficile dire se sia vero o meno, pero' come dice Alfea, (nel caso lo fosse) anche a me piace pensare alla spiegazione più semplice
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