L'aldilà esiste»: parola di neurochirurgo Eben Alexander

acronimo
00giovedì 11 ottobre 2012 12:38
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FONTE: Corriere Della Sera - Link Articolo

L'aldilà esiste»: parola di neurochirurgo
Eben Alexander, affermato medico di Harvard, racconta in un libro di imminente uscita la sua esperienza di vita oltre la vita

Eben AlexanderEben Alexander
MILANO - Il professor Eben Alexander era sempre stato scettico a proposito di vita ultraterrena e dei racconti di esperienze extracorporee che gli venivano fatti dai suoi pazienti. Ma da quando nel 2008 rimase in coma sette giorni a causa di una rara forma di meningite la sua opinione è parecchio cambiata. La sua storia è finita sulla copertina di Newsweek, ma anche in un libro intitolato significativamente "Proof of Heaven" ("La prova del paradiso", che uscirà il 23 ottobre), e racconta di un'esperienza durante la quale il medico cinquantottenne ha visitato quello che lui stesso definisce un luogo «incommensurabilmente più in alto delle nuvole, popolato di esseri trasparenti e scintillanti».

TRA LA VITA E LA MORTE - Una mattina dell'autunno del 2008 Alexander si svegliò con un feroce mal di testa e di lì a poco venne ricoverato d'urgenza in uno degli ospedali dove aveva lavorato, il Lynchburg General Hospital in Virginia. Qui gli venne diagnosticata una meningite batterica da Escherichia Coli, una patologia tipica dei neonati, che in poche ore lo condusse al coma. Per sette giorni il neurochirurgo statunitense rimase tra la vita e la morte e le frequenti TAC cerebrali e le accurate visite neurologiche dimostrarono una totale inattività della sua neocorteccia (nell'uomo rappresenta circa il 90 per cento della superficie cerebrale e viene considerata la sede delle funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria).

LA PROVA DEL PARADISO - Ma mentre Eben Alexander giaceva immobile e privo di conoscenza, sperimentava anche un vivido e incredibile viaggio destinato a cambiare la sua esistenza. Tutto ha avuto inizio «in un mondo di nuvole bianche e rosa stagliate contro un cielo blu scuro come la notte e stormi di esseri luminosi che lasciavano dietro di sé una scia altrettanto lucente». Secondo Alexander catalogarli come uccelli o addirittura angeli non renderebbe giustizia a questi esseri che definisce forme di vita superiore. In questa dimensione, arricchita da un canto glorioso, l'udito e la vista sono diventate un tutt'uno. Come ha raccontato a Newsweek il medico americano: «potevo ascoltare la bellezza di questi esseri straordinari e contemporaneamente vedere la gioia e la perfezione di ciò che stavano cantando».

MILIONI DI FARFALLE - Per buona parte del suo viaggio Alexander è stato accompagnato da una misteriosa ragazza bionda dagli occhi blu, che l'uomo racconta di avere incontrato per la prima volta camminando su un tappeto costituito da milioni di farfalle dai colori sgargianti. Nella memoria del neurochirurgo la giovane aveva uno sguardo che esprimeva amore assoluto, ben al di sopra di quello sperimentabile nella vita reale, e parlava con lui senza usare le parole, inviando messaggi «che gli entravano dentro come un dolce vento». Eben Alexander ne ricorda tre in particolare. Il primo era «tu sei amato e accudito», poi «non c'è niente di cui avere paura» e infine «non c'è niente che tu possa sbagliare». Ma l'accompagnatrice del medico aggiungeva anche: «Ti faremo vedere molte cose qui. Ma alla fine tornerai indietro».

UN UTERO COSMICO - Proseguendo il cammino l'autore di Proof of Heaven è infine giunto in un vuoto immenso, completamente buio, infinitamente esteso e confortevole, illuminato solo da una sfera brillante, «una sorta di interprete tra me e l'enorme presenza che mi circondava. È stato come nascere in un mondo più grande e come se l'universo stesso fosse un gigantesco utero cosmico. La sfera mi guidava attraverso questo spazio sterminato». Non si tratta certamente del primo caso di quello che gli anglosassoni chiamano Near Death Experience (esperienze ai confini della morte), ma di certo turba il fatto che a raccontarla sia un affermato docente di neurochirurgia, da sempre dichiaratosi scettico al proposito. «Mi rendo conto di quanto il mio racconto suoni straordinario, e francamente incredibile - ha dichiarato Eben Alexander -; se qualcuno, persino un medico, avesse raccontato questa storia al vecchio me stesso, sarei stato sicuro che fosse preda di illusioni. Ma quanto mi è capitato è reale quanto e più dei fatti più importanti della mia vita, come il mio matrimonio o la nascita dei miei due figli».

Emanuela Di Pasqua
Maila1
00giovedì 11 ottobre 2012 12:53
In risposta, trovo interessante questo articolo.
Ma voi lo sapevate che in alcuni soggetti subentra la fase rem anche in stato di veglia?
Interessante e spiegherebbe tante cose, "aldilà" (visto l' argomento, ci sta bene scriverlo senza distacco :D) del topic.

premorte come difesa cerebrale
acronimo
00giovedì 11 ottobre 2012 13:16
Re:
Maila, grazie, riporto in copia l'articolo qui per comodità di lettura:

FONTE: OLTREMAGAZIN - Link diretto all'articolo


LE ESPERIENZE DI PREMORTE COME DIFESE CEREBRALI

Da quando lo psichiatra Moody, tanti anni fa, ha descritto le esperienze di coloro che si risvegliano da un coma, da un arresto cardiaco o da una cosiddetta "morte apparente", si discute se queste esperienze (percezione di se stessi dall'alto, entrata in un tunnel con una luce alla sua fine, esperienza gioiosa di incontro con persone morte,...) si possano considerare come una "vita oltre la vita" oppure come fenomeni psicosomatici con una base fisiologica o fisiopatologica in qualche modo spiegabile scientificamente. Nel 2002 la stimolazione elettrica di un'area vicina all'orecchio ha provocato nei soggetti sperimentali vissuti simili a quelli raccontati da coloro che si svegliano dal coma; da allora la bilancia ha cominciato a pendere dalla parte della spiegazione fisica piuttosto che da quella "metafisica".

Ora si aggiunge un altro tassello che fa pensare come i fenomeni di premorte possano essere considerati "difese" messe in atto dal cervello in situazioni traumatiche quando queste colpiscono certi soggetti e non altri. È stato visto che in determinati individui è presente anche in alcuni momenti della veglia una attività cerebrale tipica della fase del sonno in cui si sogna, la cosiddetta fase Rem. Questa intrusione dell'attività onirica nella veglia si è riscontrata con maggiore frequenza (60%) in coloro che hanno avuto esperienze di premorte piuttosto che in coloro (24%) che non le hanno avute.

Cosa significa tutto ciò?

Se si considera che le esperienze di premorte sono tipiche di chi si riprende dopo traumi cerebrali (per incidenti stradali o dopo arresti cardiaci con danni cerebrali), si può ragionevolmente dedurre che la maggiore intrusione della fase Rem nella veglia sia una "reazione difensiva" del cervello traumatizzato quando questo trauma riguarda una determinata zona del cervello. Si potrebbe trattare, in sostanza, di esperienze dissociative simili a quelle che si osservano in tutti i gravi traumi e che psicologicamente sembrano avere la funzione di "sdoppiare" il sé di chi viene colpito dal trauma in modo da preservarne una parte. Dal punto di vista logico ne potrebbe derivare una dissociazione tra vita e morte che spiegherebbe l'interpretazione delle esperienze di premorte come una "vita oltre la vita". Tornati, cioè, da un'esperienza consistente nel vedersi come dall'esterno, diventa logico interpretare la parte di sé che è stata proiettata fuori di sé come viva e la parte di sé che viene osservata nella sua immobilità come morta.

In questo contesto il passaggio dalla vita alla morte a cui nel momento dell'impatto della testa o dell'arresto cardiaco è probabile che si pensi, può essere tradotto in termini onirici, come avviene sempre (anche ogni notte, addormentandoci) quando si abbassa il livello di coscienza. La chiave della spiegazione dei fenomeni di premorte sarebbe in sostanza l'improvvisa perdita della coscienza per il trauma cranico o per l'arresto cardiaco a cui si accompagna una specie di corto circuito cerebrale, come se il fenomeno che si verifica con maggiore gradualità quando ci addormentiamo (sognare) si instaurasse in modo quasi istantaneo, facendo apparire la fase Rem e i correlati esistenziali della dissociazione tipica di ogni sogno: chi sogna è come se assistesse dall'esterno ai suoi sogni e può perciò impersonare contemporaneamente diversi ruoli. Col risultato che si sogna di morire.

Ma perché chi è traumatizzato sogna la morte sempre più o meno nello stesso modo, cioè come l'attraversamento di un tunnel alla fine del quale c'è una luce e arrivando in un luogo d'armonia dove si incontrano i morti in un contatto gradevolissimo?

Se il sogno è il pensiero di chi dorme, chi va in coma sogna di morire utilizzando i materiali del pensiero di sempre. E non somiglia l'esperienza di premorte all'esperienza dei mistici? Non hanno sempre visto i mistici una luce dopo il buio della morte? E non è quasi banale immaginare l'aldilà come l'uscita dal buio (il tunnel) della morte illuminato dalla luce di una vita che ripropone l'incontro con chi di là c'è già? D'altra parte non è questo il desiderio di molti? E i sogni non sono desideri? Come controprova di quest'ultima affermazione si potrebbe portare il fatto che non tutti quelli che si svegliano dal coma dicono di aver fatto l'esperienza della premorte: non sarà che tale esperienza viene riportata solo da coloro che immaginano che esista un aldilà dopo la morte? Bisognerebbe chiedersi, allora, come sognano di morire quelli che vanno in coma e che non credono nell'aldilà. Anche loro si dissociano e si possono veder dall'alto e possono vedere una luce alla fine di un buio, oppure il cervello traumatizzato si limita a farci sognare di morire (intrusione della fase Rem) in modo istantaneo e poi ognuno sogna di morire a modo suo?

Se si accetta tale ragionamento e l'interpretazione dei fenomeni di premorte che ne consegue, si aprono scenari di ricerca inesplorati: altro che la consolazione a buon mercato di chi sogna di morire immaginando, come ha sempre fatto anche da sveglio, di rinascere e di incontrare i propri cari morti ritrovandosi con loro in paradiso!

FRANCESCO CAMPIONE
giano76
00giovedì 11 ottobre 2012 13:43
" ...Ed ecco nel racconto di Alexander cosa è accaduto dopo che in poche ore la corteccia, “la parte del cervello che controlla il pensiero e le emozioni, e che, in sostanza, ci rende umani, era fuori uso”..."
(http://salute24.ilsole24ore.com/articles/14746-una-giornata-nell-aldila-chi-e-il-neurochirurgo-che-in-coma-ha-visto-il-paradiso?refresh_ce)

Alexander aggiunge: "Non c'è una spiegazione scientifica a quello che è successo: mentre i neuroni della corteccia erano inattivi a causa dell'infezione, qualcosa come una coscienza slegata dalla mente è arrivata in un altro universo. Una dimensione di cui mai avrei immaginato l'esistenza".
(http://www.repubblica.it/scienze/2012/10/10/news/sono_stato_in_paradiso_ecco_com_il_neuroscienziato_racconta_dopo_il_coma-44202072/?rss&google_editors_picks=true)

Le funzioni cerebrali erano praticamente azzerate. Che fase REM può esserci in un cervello inerte?
A essere avvocati del diavolo si potrebbe dire:
1-E' un ricordo artificiale creato successivamente, al momento del riemergere delle funzioni cerebrali
2-Pubblicità. Il tizio ci ha scritto un libro.

ForsakenLinux
00giovedì 11 ottobre 2012 15:23
Aldilà? Spero di non finire in un posto come quello altrimenti rischio seriamente di fare una strage di angioletti e farfalle :D
Un'altra dimensione con le stesse caratteristiche del nostro mondo... Uhm, forse si è trattato di quei famosi 10 minuti onirici che vive il cervello prima di morire, in questo caso c'è stato chi è riuscito a ricordarsene.
Lo trovo poetico: prima di spegnersi definitivamente, il tuo cervello ti fa il grande regalo di vedere esattamente ciò che vuoi.
Il fatto che un neuroscienziato non abbia considerato un'ipotesi così banale mi autorizza ad ignorarla?
Garrick79
00giovedì 11 ottobre 2012 19:13
Interessante! Aggiungo per completezza anche questo articolo anche se è un po' lungo:

Cervello e Coscienza
Un articolo del dott. Barry L. Beyerstein, psicologo.

• L'identità Psiconeurale (IPN)
• Alpha e Omega
• Punti di partenza
• La fisiologia delle allucinazioni
• Percezione: normale ed extra-sensoriale
• La soluzione al 10 percento
• Conclusione
• Riferimenti
La moderna scienza del cervello ci offre utili intuizioni riguardo alcune strane esperienze personali come le allucinazioni e i viaggi fuori dal corpo; inoltre, ci è di aiuto nel valutare certe affermazioni di percezione extra-sensoriale e di coscienza pre-natale e post mortem.
Molti tipi di esperienze personali anomale contribuiscono alla credenza nel paranormale. Può trattarsi di emozioni potenti, spontanee o percezioni apparentemente non provocate che gli altri non possono verificare. Per alcuni queste esperienze sono accompagnate da una sensazione che la coscienza si sia estraniata dal corpo o che una forza aliena stia "usurpando il trono della volontà". Questi interludi sono variamente interpretati come divini o diabolici, illuminanti o premonitori, semplici curiosità o il richiamo ad una missione sacra.
Tra quelli che hanno riconosciuto di essere stati "guidati" da "rivelazioni" simili, ci sono Platone, San Paolo, Giovanna d'Arco, Colombo, Mozart e Newton da una parte, Attila, Hitler, Stalin, e Charles Manson dall'altra. Molte antiche credenze nel soprannaturale, probabilmente hanno la propria origine in rivelazioni di questo tipo. Esse alimentano ancora oggi molte credenze di tipo mistico.
Sappiamo oggi che sia cervelli sani che malati produrranno, di tanto in tanto, sensazioni ed emozioni spontanee che sembrano originare dall'esterno, magari in altre menti. Queste irresistibili esperienze vengono citate in continuazione come prove del paranormale.
Le "spiegazioni" paranormali per questi eventi costituiscono una sfida per gli psicofisiologi perché, se corrette, le implicazioni per la visione neuroscientifica della relazione mente-cervello sarebbero profonde. Se, come molti occultisti sostengono, la mente può esistere libera dal corpo, influenzare direttamente altre menti o la materia a distanza, e ricevere informazioni attraverso sensi non convenzionali, molti capisaldi della neuroscienza sarebbero tristemente incompleti, se non totalmente erronei.
Benché io dubiti che gli studi sulle presunte anomalie paranormali della coscienza capovolgeranno le fondamenta della neuroscienza, potrebbero ampliare la nostra comprensione tradizionale della percezione, della memoria e delle emozioni. Simili studi potrebbero eventualmente anche aiutare la gente a comprendere le autentiche cause di esperienze "straordinarie" che sembrano per essa così reali.

L'Identità Psiconeurale (IPN)
Nel 1949, Donald O. Hebb enunciò il credo al quale la maggior parte dei neuroscienziati aderirebbe ancora. La psicologia moderna dà completamente per scontato che le funzioni comportamentali e neurali sono perfettamente correlate e che una è completamente causata dall'altra. Non c'è un'anima separata o una forza vitale che mette il dito nel cervello ogni tanto e fa fare alle cellule neurali ciò che altrimenti non farebbero. Naturalmente, questa è solo un'assunzione di comodo... è abbastanza concepibile che un giorno questa assunzione dovrà essere eliminata. Ma è anche importante rendersi conto che non abbiamo ancora raggiunto quel giorno: l'assunzione di comodo è necessaria e non ci sono vere prove del suo contrario. La nostra incapacità fino ad ora di risolvere un problema non lo rende insolubile. Non si può logicamente essere un determinista in fisica e biologia e un mistico in psicologia (Hebb, 1949, p. xiii).
Sebbene la visione sul determinismo sia cambiata da quando Hebb scrisse, la sua convinzione che la coscienza sia inseparabile dal funzionamento del cervello rimane la pietra miliare della psicologia fisiologica. Una discussione delle questioni filosofiche sottostanti l'assunzione di comodo di Hebb - l'identità psiconeurale (IPN) - va oltre i fini di questo articolo.

Alpha e Omega
Gli psicobiologi sono scettici delle affermazioni secondo cui una coscienza matura esisterebbe prima della nascita e dopo la morte. Le presunte prove scientifiche per una vita oltre la morte (per esempio: Moody 1975; Osis e Haraldsson 1977) sono difettose, logicamente ed empiricamente (Alcock 1979; Puccetti 1979; Siegel 1981). Oltre a inconsistenze e a difetti metodologici, molte affermazioni dei sostenitori dell'ipotesi di una sopravvivenza dopo la morte sono ulteriormente minate da un concetto di morte chiaramente antiquato.
Secondo i moderni criteri neurologici, i pazienti che si suppone siano "ritornati dall'aldilà" non sono mai morti, solo rianimati da un arresto cardiopolmonare (ACP) - cioè, una temporanea interruzione del battito del cuore e della respirazione. Poiché le cellule cerebrali non cessano di funzionare immediatamente dopo un ACP, l'attività mentale può continuare (sebbene degradata dalla deprivazione di ossigeno/glucosio e da altri cambiamenti neuro-chimici) per alcuni minuti dopo l'ultimo battito del cuore e l'ultimo respiro.
Il morire è un processo composto da vari stadi, reversibile finché non soccombono certe cellule importanti del tronco cerebrale e della neocorteccia. Quindi, un paziente con una neocorteccia silenziosa può ancora respirare e presentare delle pulsazioni ma essere clinicamente morto; chi soffre di un ACP temporaneo non presenta pulsazioni e respirazione ma non è cerebralmente morto. Ricordi del periodo precedente alla rianimazione non implicano un aldilà perché, fortunatamente, questi pazienti non sono mai cerebralmente morti. Il criterio oggi usato in molte società moderne per definire la morte legale è costituito dall'interruzione irreversibile della comunicazione tra cellule critiche del cervello.
Altre pseudoscienze attribuiscono capacità cognitive e motivazionali al nascituro - alcuni sostengono che il feto possa comprendere le conversazioni dei genitori e possa subirne danni psicologici persistenti. Le farneticazioni Scientologiche di L. Ron Hubbard (1968) circa la vita nell'utero iniziarono come fantascienza e sono oggi bollate, appropriatamente, come religione, ma è specialmente preoccupante quando professionisti presumibilmente accorti fanno affermazioni simili ignorando ben chiare diffide neurologiche. Le loro prove si basano sui "ricordi" di adulti con problemi psicologici sufficientemente preoccupanti da richiedere delle cure terapeutiche. Lo psichiatra Thomas Verny (1981) modella le sue teorie di psicopatologia in base a ciò che i pazienti gli dicono sulle loro memorie fetali. Arthur Janov (1970), fondatore del sospetto movimento dell'"Urlo Primario", asserisce che le nevrosi nascono dai ricordi del trauma della nascita, e Leonard Orr offre la cura: alleviare la nascita iperventilando in una vasca da bagno piena di acqua calda (per una buona critica, vedi Rosen 1977).
I ricordi dall'utero sono estremamente dubbi, data l'immaturità del cervello fetale. Il sistema uditivo raggiunge un funzionamento rudimentale nell'ultimo trimestre della gravidanza, e poco dopo la nascita si può abituare il bambino a compiere diversi movimenti in risposta ad altrettanti suoni verbali (Aslin et al. 1983). Tuttavia, estrapolare da queste semplici abilità la congettura che i feti comprendano le conversazioni degli adulti, e anni dopo ne risentano, offende il buon senso e le notevoli ricerche sullo sviluppo del bambino.
Verny sostiene che "tutto ciò che una donna pensa, sente, dice e spera influenza il suo bambino non ancora nato" (citato da Cannon 1981). Questo legame mistico tra le coscienze della madre e del feto è incompatibile con l'IPN poiché non esiste alcun legame neurale tra i loro cervelli.
Sebbene forti tensioni durante la gravidanza possano avere degli effetti a causa di alterazioni nelle componenti chimiche intrauterine, è difficile immaginare come specifici pensieri e sensazioni della madre possano raggiungere ed essere riconosciuti dal cervello del feto. Le speculazioni di Verny riguardano un presunto legame telepatico tra la madre ed un'incredibilmente precoce mente fetale. Ricordano le vecchie superstizioni secondo cui le madri gravide spaventate dagli elefanti avranno bambini deformi e quelle che rubano daranno alla luce dei ladri.
Sebbene gli psicofisiologi siano semplicemente divertiti dalle congetture di Verny, è poco propizio che le sue credenziali di psichiatra ingenerino una fiducia diffusa. Ho incontrato molte madri di bambini con problemi di sviluppo il cui fardello è stato inutilmente sovraccaricato di senso di colpa - credevano che i loro pensieri ambivalenti durante una gravidanza difficile dovessero essere stati la causa della condizione dei loro bambini.
Studi competenti sulla memoria dei bambini non ispirano fiducia nei presunti ricordi prenatali (White e Pillemer 1979). Ci sono spiegazioni alternative del perché la gente creda di ricordare la vita nell'utero o in incarnazioni precedenti (Alcock 1981; Loftus 1980; Zusne e Jones 1982).
Ci sono prove che i ricordi sono immagazzinati come modificazioni strutturali nei circuiti neurali (Squire 1986). Vista l'improbabilità del fatto che questi meccanismi siano già pienamente funzionanti prima della nascita, è logicamente impossibile che delle esperienze così immagazzinate sopravvivano la disintegrazione del cervello. Le credenze prevalenti che la conoscenza possa essere ottenuta da incarnazioni precedenti o da una "mente universale" (custode di tutta la passata conoscenza e creatività) sono non solo implausibili ma anche avviliscono ingiustamente le conquiste sbalorditive dei singoli cervelli umani.

Punti di partenza
Molte persone credono che il loro "sé psichico" lasci periodicamente i loro corpi per ricuperare informazioni distanti. I critici della letteratura relativa alle "esperienze fuori dal corpo" (OBE - Out of Body Experiences) ritengono che le prove a favore di questo fenomeno siano poco convincenti (Blackmore 1982; Neher 1980). Le descrizioni di OBE sono compatibili con ciò che si sa circa fenomeni neurali e psicologici conosciuti che evocano vivide allucinazioni e pregiudicano temporaneamente la capacità di esaminare la realtà. Neher (1980) offre anche degli esercizi di rilassamento e di immaginazione per coloro che desiderano sperimentare da sé un OBE.
Nell'ultimo secolo, il neurologo Huglings Jackson riportò che aberrazioni nei lobi temporali del cervello possono produrre sensazioni di galleggiamento e disincarnazione, inclusa l'impressione di vedere il proprio corpo da lontano (MacLean 1970). Da allora, le OBE sono state prodotte dalla stimolazione elettrica dei lobi temporali durante operazioni di neurochirurgia. Queste esperienze sono anche associate con varie droghe, attacchi epilettici, episodi di emicrania ed ipoglicemia e modificazioni neurochimiche vicine alla morte. Occasionalmente, le OBE occorrono spontaneamente in individui normali e svegli, probabilmente a causa di un'attivazione casuale dei sistemi del lobo temporale. Le OBE sembrano meno misteriose quando pensiamo che il cervello genera immagini simili durante i sogni o nelle memorie visive, dove noi di solito ci vediamo da una posizione che in realtà non abbiamo mai occupato. è principalmente la chiarezza o "realtà" delle OBE (relativa all'attività del lobo temporale e frontale) che le distingue da forme simili di immaginazione, incluso il "sognare ad occhi aperti" che può, a sua volta, sembrare piuttosto vivido.
Le OBE possono ancora essere innescate da suggerimenti sbagliati quando i meccanismi di eccitazione del cervello si spostano da uno stato di assopimento ad uno stato di sonno, dal sonno alla veglia, dal sonno senza sogni al sonno con sogni, e così via. In un tale sistema formato da così tanti componenti, ci si può benissimo aspettare che occasionalmente si verifichino delle desincronizzazioni - che possono qui risultare in attività simili al sognare durante uno stato di quasi veglia. Le immagini di inizio (ipnagogiche) e di fine (ipnopompiche) del sonno sono spesso miscugli bizzarri, ma all'apparenza reali, di percezioni genuine ed allucinazioni (Stoyva 1973).

La fisiologia delle allucinazioni
Di solito è facile distinguere percezioni autentiche da immagini auto-prodotte, eccetto che nel corso dei sogni, delle OBE, e così via. Occasionalmente può essere difficile, però, perché i sistemi del cervello che generano immagini dalla memoria condividono dei circuiti neurali con quei sistemi che decifrano gli stimoli sensoriali provenienti dall'ambiente. Molti fattori possono temporaneamente disabilitare più alti meccanismi del cervello che confermano la realtà delle percezioni.
Le allucinazioni si verificano quando la corteccia sensoriale viene attivata senza che vi siano stimoli ai recettori periferici. Ciò può derivare da: stimolazione elettrica o con l'uso di droghe del cervello, suggestioni ipnotiche, alta febbre, narcolepsia, emicrania, epilessia, schizofrenia, sovraccarico sensoriale o isolamento prolungato (Horowitz 1975; Johnson 1978; Siegel e West 1975). Allucinazioni possono verificarsi quando le immagini interne confondono gli stimoli sensoriali esterni in percorsi neurali condivisi, o quando frazioni percettive indistinte sono imbellite secondo le aspettative e le credenze (Horowitz 1975). Sono anche possibili in situazioni che influenzano la normale alternanza tra vigilanza e attenzione all'uso di immagini (utilizzate per ricordare, risolvere i problemi, sognare ad occhi aperti, e così via). Forti conflitti, minacce emotive, paura, o desiderio possono prestare una qualità intensamente reale al pensiero immaginifico. La meditazione, riducendo gli stimoli sensoriali e sopprimendo i sistemi verbali di coscienza, può avere risultati simili.
Schatzman (1980) trovò un sostegno obiettivo per la nozione che le allucinazioni passano attraverso processi che hanno luogo nell'area visuale del cervello. Fu presentato uno stimolo visivo ad una paziente che sperimentava allucinazioni vivide. La risposta elettrica della sua corteccia visiva quando ella osservava lo stimolo normalmente fu confrontata con quella di quando aveva allucinazioni che oscuravano lo stimolo dalla vista. Nella seconda condizione, la traccia dello stimolo registrata scompariva man mano che la corteccia visiva iniziava a produrre l'immagine allucinata.
Molte credenze occulte nascono dal malinteso che qualsiasi cosa vista o sentita debba necessariamente esistere fuori da noi stessi. Fatica, stress, monotonia o ferventi desideri possono oscurare le "etichette" che designano l'origine esterna o interna man mano che i messaggi passano attraverso il cervello - offuscando così la linea di demarcazione tra realtà e fantasia.

Percezione: normale ed extra-sensoriale
Molta letteratura supporta il corollario dell'IPN secondo cui la percezione sarebbe un processo del cervello (Uttal 1973). Per quanto riguarda i sensi convenzionali (vista, udito, gusto, odorato, tatto) sappiamo molto su come differenti energie vengono tradotte dai recettori in codici neurali e su come i sistemi del cervello ne distribuiscono e analizzano il contenuto.
Danni ad analizzatori specifici del cervello cancellano la percezione delle qualità che essi altrimenti codificherebbero. Se la mente potesse abbandonare il corpo e conservare una piena consapevolezza del viaggio, perché un semplice difetto di "hardware" nel cervello dovrebbe lasciare dei pazienti insensibili? D'altra parte, se fossero danneggiati solo i recettori periferici, sarebbe possibile creare rozze protesi in grado di stimolare la corteccia sensoriale con impulsi elettrici predeterminati. Che queste evochino semplici modelli visivi sostiene l'ipotesi dell'IPN, ma la rozzezza delle percezioni prodotte dalle protesi stimolanti più avanzate sottolinea l'enorme compito che eventuali "energie" telepatiche dovrebbero compiere perché la percezione extra sensoriale (ESP - Extra Sensorial Perception) possa essere compatibile con l'IPN. Un "messaggio" che potesse superare gli abituali percorsi neurosensoriali alla coscienza dovrebbe ancora imporre un'attività precisamente modellata a milioni di cellule cerebrali.
Un teorico che cercasse di coniugare l'ESP all'IPN dovrebbe suggerire dei meccanismi plausibili al fine di rispondere alle seguenti domande:

• Come viene generato il "messaggio" dal cervello del "mandante" nella telepatia e da un oggetto inanimato nella chiaroveggenza?
• Che tipo di energia potrebbe portare il messaggio senza perdite, lungo distanze immense e attraverso gli oggetti incontrati durante il percorso?
• Qual'è il mezzo di propagazione del segnale; che cosa impedisce il sovrapporsi di messaggi simultanei e che cosa li fa arrivare al "ricevente"?
• Una volta arrivato al ricevente, che cosa dirige il messaggio alla modalità sensoriale appropriata - per esempio, alla vista piuttosto che all'odorato - per non dire cosa produca una percezione significativa?
• Quale forma concepibile di energia avrebbe la capacità informazionale di imporre i modelli spazio-temporali necessari al numero astronomico di neuroni coinvolti anche nella più semplice percezione? Come potrebbe duplicare i lievi movimenti dei trasmettitori neurochimici attraverso le membrane cellulari che costituiscono il codice neurale?

Gli entusiasti dell'ESP raramente si pongono questo tipo di domande. Infatti, evitarle è una delle attrattive del dualismo (se la mente non è fisica, queste limitazioni non sono applicabili). Il parapsicologo Charles Tart (1977), e ciò va detto a suo credito, cerca di far fronte ad alcuni di questi problemi, ma le soluzioni da lui proposte sono essenzialmente antichi principi di Magia Simpatica e di Contatto ridefiniti in termini tecnici. Egli sostiene che debbano esistere nel cervello "canali", "decodificatori", etc., perché l'ESP è un'abilità stabilita, ma non suggerisce dove e come potrebbero trovarsi.
Godbey (1975) ha ragione quando afferma che le prove della telepatia o della chiaroveggenza sarebbero insufficienti, in sé stesse, per rifiutare l'IPN. Il cervello potrebbe concepibilmente essere messo in uno stato fisico di "sapere qualcosa" da una qualche forza materiale non ancora scoperta. Tuttavia, come io sostengo, ciò richiederebbe una forma di energia non molto diversa da quelle note ai fisici, che operasse sui meccanismi neurali in modi che sembreranno bizzarri anche agli psicobiologi. Sebbene entrambe queste ipotesi potrebbero un giorno venire confermate, oggi servono solamente per "spiegare" fenomeni per i quali esistono interpretazioni naturalistiche più credibili (Alcock 1981; Blackmore 1982; Marks e Kammann 1980; Neher 1980; Zusne e Jones 1982).

La soluzione al 10 percento
Nel sostenere che le attuali teorie sul funzionamento del cervello gettano sospetti sull'ESP, la psicocinesi, la reincarnazione e così via, mi viene spesso rinfacciata la più nota neuro-mitologia: la nozione secondo cui noi normalmente useremmo solamente il 10 per cento del nostro cervello. Gli "illuminati" presumibilmente riuscirebbero ad utilizzare il rimanente per levitare, piegare cucchiai, prevedere il futuro, leggere il pensiero ed altre fantasticherie inconcepibili per chiunque altro.
Le origini del mito del 10 percento sono oscure, ma il concetto venne ampiamente disseminato in popolari corsi di comunicazione (Dale Carnegie) e proferito pubblicamente nientemeno che da Albert Einstein. Credo che l'errore nacque da un travisamento di una ricerca del 1930 la quale dimostrava che, con l'avanzamento evolutivo, una proporzione progressivamente più piccola del cervello è adibita a compiti strettamente sensoriali o motori. Per ragioni metodologiche, le aree non-sensoriali e non-motorie allargatesi vennero denominate "corteccia silenziosa", sebbene siano tutto fuorché silenziose. Sono responsabili delle nostre caratteristiche più umane, incluso il linguaggio ed il pensiero astratto. Aree di massima attività si muovono nel cervello quando ci applichiamo a compiti diversi, e può esserci una qualche riorganizzazione delle regioni funzionali dopo un danno al cervello; ma non ci sono normalmente regioni dormienti che attendono nuovi compiti.
Questa concetto della "ruota di scorta cerebrale" continua a fare la fortuna di psicologi poco seri e dei loro corsi di auto-miglioramento. Come metafora per il fatto che pochi di noi sfruttano pienamente i propri talenti, chi potrebbe negarlo? Come rifugio per gli occultisti che cercano una base neurale per il miracoloso, però, lascia molto a desiderare.

Conclusione
Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. Ci sono molti esempi di persone estranee al mondo scientifico che sbaragliarono fortificazioni di ortodossia scientifica, ma prevalsero grazie a dati irrefutabili. Più spesso, scoperte egregie che contraddicono studi e ricerche tra i più sicuri, si rivelano essere artefatti. Io sostengo che accettare i poteri paranormali, la reincarnazione, la "coscienza cosmica" e cose del genere, richiederebbe una revisione fondamentale delle fondamenta delle neuroscienze. Prima di abbandonare teorie materialiste della mente che hanno brillantemente svolto il loro compito, dovremmo insistere nel richiedere migliori prove per l'esistenza dei fenomeni paranormali di quelle che esistono al giorno d'oggi, specialmente quando le stesse neurologia e psicologia offrono alternative più plausibili.

Barry L. Beyerstein fa parte del Brain Behavior Laboratory, Dipartimento di Psicologia, Simon Fraser University, Burnaby, Canada.
ForsakenLinux
00venerdì 12 ottobre 2012 07:55
Ma sì ragazzi, nessuno vi dà nulla dalla nascita, se volete separarvi dalla IPN con tutto ciò che ne consegue, tutto questo (sapete a cosa mi riferisco) non basta.
Per la reincarnazione il caso di Shanti Devi lo ritengo abbastanza comprovante, almeno di un tipo di reincarnazione (ma funziona davvero come si pensa la reincarnazione?)
mistermoog
00venerdì 12 ottobre 2012 08:50
Re:
ForsakenLinux, 11/10/2012 15.23:


Un'altra dimensione con le stesse caratteristiche del nostro mondo... Uhm, forse si è trattato di quei famosi 10 minuti onirici che vive il cervello prima di morire, in questo caso c'è stato chi è riuscito a ricordarsene.
Lo trovo poetico: prima di spegnersi definitivamente, il tuo cervello ti fa il grande regalo di vedere esattamente ciò che vuoi.
Il fatto che un neuroscienziato non abbia considerato un'ipotesi così banale mi autorizza ad ignorarla?



Quoto, e aggiungo, ma pensate se l'uomo di scienza si fosse confezionato un angoletto a base di ninfette puttanelle e puttini che ti fanno i massaggini...oggi si parlerebbe d'altro.

ForsakenLinux
00venerdì 12 ottobre 2012 10:02
Eh beh moog, magari con tutto questo amore cosmico non aveva più bisogno di quello terrestre.
Con la chiave della trascendenza si ci leva un mare di grattacapi scomodi D:
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