Veniamo alle critiche specifiche
Argumentum ex silentio, di cui noto è il poco valore: non c’è nemmeno prova del contrario; anzi, nelle stesse Scritture vi sono indizi non lievi — checché ne dicano i TdG — che fanno pensare a un braccio trasversale, mentre esistono nella tradizione (Plauto, Cicerone, Dionigi d’Alicarnasso, Seneca, Luciano ecc.) prove certe che questa era la prassi procedurale romana. Gesù fu condannato da un tribunale romano, anzi dalla maggior autorità romana in Giudea, in un processo addomesticato ma di gran rilievo, perché ne furono protagonisti le massime autorità (oltre a Pilato, Caifa ed Erode) per cui è impensabile che non si seguisse la prassi formale della giustizia romana, che contemplava flagellazione, via crucis con patibulum. e crocefissione con stipes preesistente
L'autore ignora che le tradizioni che fanno pensare al'esistenza di un braccio trasversale:
1. Dove specificano una forma sono successive di un oltre secolo alla morte di Cristo
2. Non è certo
quale fosse la passi romana ne è possibile dedurre dai testi del NT quale fosse la forma dello stauros, per cui "croce" sarebbe altrettanto abusivo di "palo".
3. Riguardo alla via crucis con il patibulum
non vi è alcun testo che sostenga in modo specifico che poi il prigioniero vi venisse appeso, secondo alcuni autori potrebbe essere solo una pena accessoria che non ha nulla a che fare con la condanna vera e propria
piuttosto, l’opposizione fra tradizione e Sacre Scritture è strumentale, in quanto per lo storico anche le Scritture sono tradizione, perché anch’esse costituiscono testimonianza indiretta o secondaria. Testimonianza che oltrettutto non solo non smentisce il resto della tradizione, ma reca tracce di essa; es. NT, Joh. 19,37 (qui in Appendice, e non è la sola). Infine: e chi è così sciocco da fare obiezione? Provati tu dopo esser stato flagellato a portar sulle spalle, su per un’erta, una crux, commissa o immissa che fosse! E difatti la prassi romana era quella del patibulum, non certo quella del singolo stipes, o peggio ancora, della crux. Lo afferma proprio la tradizione: bene inteso, intesa non come «comune credenza»; ma come lo storico la intende: Plauto, Cicerone, Giovanni ecc.
Non si tratta di opposizione, la tradizione sulla forma della croce è relativamente tarda e dunque dubbia, il traduttore deve cercare di rendere il senso che la parola aveva nel I secolo e non nel II secolo.
Come detto
sulla cosiddetta prassi romana del "patibulum" i testi sono meno chiari di quanto alcuni studiosi intendano, infatti non è ancora chiaro, né c'è un testo che lo dice chiaramente, se il condannato fosse realmente appeso al patibulum che portava e se quella fosse una pena a sé, né vi sono d'altronde, prove che al prigioniero non fosse imposto il trasporto dell'intero stauros, cioè lo stipes, che poteva non essere più pensante di 40-50 chili, il che giustificherebbe la difficoltà di Gesù di trascinarlo.
La koiné nasce, con le conquiste di Alessandro, a fine IV sec. a. C. In oltre 300 anni staurós poteva ben evolvere più volte il suo significato, specie a fronte di un’usanza romana — e Roma era caput mundi — che adoperava un supplizio consimile, ma diverso nella esecuzione materiale. Stessa evoluzione nel Medioevo dove at the stake (‘al palo’) significherà ‘al rogo’, mentre in tempi a noi più vicini shot at the stake (‘colpito al palo’) varrà ‘fucilato’. Ciò che non è sufficientemente documentato sono i tempi dell’evoluzione, non l’evoluzione stessa; che c’è stata, perché a un certo punto staurós diviene un equivalente di crux. Quando? a giudicar dalla tradizione, diretta e indiretta, le prime attestazioni potrebbero trovarsi proprio nei Vangeli. Che è lettura meno ipotetica dell’ipotesi contraria, che non poggia su nulla, se non su superficiali smentite (quando non sono omissioni deliberate) delle testimonianze contrarie. In effetti il problema è che i TdG non sembrano avere nessuna prova positiva della loro tesi, tutto quel che sanno dire è che nel 300/200 a. C. stauròs equivale a stipes. Poi silenzio assoluto, fino al III-IV sec. dopo Cristo. Questa, in buona sintesi, è la loro (unica) argomentazione
Il problema è quando il termine cambiò significato per indicare specificamente non più un tipo di supplizio ma una forma specifica, come oggi indica la parola "croce". Che le attestazioni si trovino nei vangeli è assurdo, perché non c'è alcun indizio sulla forma dello stauros né esistono per il I secolo testimonianza che il significato di stauros fosse legato ad una forma particolare dello stesso.
In questo caso, come deve comportarsi il traduttore? A me pare che la TNM si sia comportata con
assoluta coerenza e onestà nei confronti del testo a cui non ha voluto sovrapporre tradizioni successive.
Illazione inconsistente, non «ulteriore prova»: ‘legno’ (= xýlon), per metonimia o metafora che dir si voglia, può star comodamente per qualcos’altro (così come ‘ferro’ sta sia per spada, per ferro da calza o per la carne ai ferri). Es. famoso in Dante: ma misi me per l’alto mare aperto, sol con un legno ecc. ove legno = nave (stessa metonimia già in Eschilo, floruit V° sec. a. C.); o nel settecentesco abate Parini che lo usa per indicar proprio la croce; et cetera innumera. Xýlon può stare indifferentemente sia per palo che per croce, o anche per più pali, per tavole, per alberi, su cui similmente poteva inchiodarsi un condannato. Obiezione: ma il termine ebraico conosce un minor numero di traslati. Può darsi, ma resta il fatto — e tralascio la spinosa e controversa questione della lingua degli originali — che i nostri testi qui extant sono scritti in Greco, che conosceva da secoli il senso metaforico del termine. Ma è questione irrilevante, perché il punto primo è un altro: xýlon rimanda a staurós, anzi — lo dicono proprio i TdG— è un «sinonimo di stauròs». Non è vero però il contrario, quindi niente affatto «un’ulteriore prova», perché resta da definire il significato di staurós nel NT. Solo dopo aver definito staurós si potrà definire xýlon, non viceversa. Quanto ad Esdra, è ancor più fuori contesto, in quanto antecedente la koiné
Legno può per metonimia designare qualunque cosa, anche una barca, un'albero o altro e dunque anche una "croce".
Certo di per sé usando "legno" non si indica una forma particolare, dunque di nuovo non si specifica alcuna forma né si lascia intendere l'uso di più legni.
Paolo, poi, si richiama alla tradizione giudaica di appendere un maledetto al palo, come attesta il talmud anche in seguito, dunque un'ulteriore indizio rispetto alla forma dello stauros.
Tesi che trae conclusioni da ipotesi non dimostrate sul significato del termine staurós, la cui diacronia semantica non è mai chiarita dai TdG. Inoltre 45 Kg. son tanti da portare a spasso, in tragitti non brevi, spesso in salita, per uomini che avevano subito ogni sorta di sevizie e vessazioni (Joh. 19 non parla del Cireneo, ma anche stando ai sinottici, è chiaro che l’adoperar un “sostituto” non era la prassi; probabilmente i Romani, che non erano limitati dalle quaranta meno una frustate del Talmud — cfr. Deut. 25,3 — questa volta erano andati un po’ troppo sul pesante). Se è vera la stima, il patibulum pesava all’ingrosso la metà. Ipotesi più economica, e quindi più scientifica, perché questa sì, più «ragionevole».
Questa, francamente, è un'obiezione molto inconsistente, innanzi tutto Gesù
non riuscì a portare quel peso, dunque è evidente che il palo era pesante, ma d'altra parte era un supplizio, tanto più che il prigioniero poteva trascinarlo, e non mi pare che 40-50 chili siano intrasportabili, sia pur nella fatica estrema di chi era già stato torturato. La fatica estrema e l'umiliazione di stare sotto a quel grosso legno faceva perfettamente parte della macabra scenografia.
Per il resto non c'è molto altro da rispondere perché continua a ripetere gli stessi argomenti.
Conclusione dell'autore:
Prove indiscutibili, prese singolarmente, forse no, ma indizi probanti ve ne sono veramente a iosa, per sottovalutarli a cuor leggero: le molteplici testimonianze di Plauto, che rimandano inequivocabilmente all’uso di patibulum + stipes.
Dunque lo stesso autore
è costretto ad ammettere che non esistono prove ma solo indizi a favore di una forma piuttosto che un'altra. Poi cita Plauto, ma come detto
da nessuna parte in Plauto si evince che il prigioniero venisse, successivamente, appeso al patibulum che aveva portato posto in verticale, è una sua inferenza che non si trova nel testo.
La citata testimonianza di Cicerone, che rimanda a uno stipes conficcato nel terreno prima dell’esecuzione (e quindi è giocoforza ritenere che il condannato non potesse portarlo sulle spalle, ma che dovesse fare l’ultimo viaggio legato al patibulum)
Non lo sappiamo, non è detto. Alcuni autori hanno presupposto l'esistenza di due pene distinte: il trasporto del patibulum e la sospensione sullo stipes, con varie modalità...
Le testimonianze del Nuovo Testamento: Giovanni 19, 17 ove si allude al patibulum e non allo stipes (sarebbe uno hapax nella tradizione)
Qui si dice solo che Gesù portava lo "stauros", non è specificato nulla che faccia pensare ad una sola "parte" di esso.
Matteo 27, 37 (la "prova” indiziaria del titulus, sopra la testa di Gesù, non sopra le mani)
Perché? Non era comunque sopra la testa di Gesù? Lo scrittore indicava solo che era posto alla sommità del palo, ben visibile, e non (come a volte si usava) al collo del prigioniero o in altre posizioni. Dedurre la posizione delle mani (che potevano comunque anche essere torte all'indietro) è ridicolo.
Giovanni 20, 25 ovvero i segni dei chiodi, al plurale, nelle mani (perché Tommaso non dice «non vedo il segno del chiodo sulle mani»?) Così Pietro 6, 21 «gli estrassero i chiodi dalle mani»; Giovanni 21, 18-19 «quando sarai vecchio ‹es›tenderai le tue mani».
Perché? Le mani appese al palo richiedevano un solo chiodo? Dove è detto che le mani dovessero essere sovrapposte, usando un solo chiodo? Boh...
Poi vi sono le prove patristiche: Barnaba, Giustino, Ireneo, Tertulliano, Minucio Felice, Ippolito ecc. (è perlomeno strano che non rimanga traccia di una tradizione inversa, anche se ciò è argomentum ex silentio)
Testimonianze troppo tarde
Poi le testimonianze di Seneca, Luciano, Plutarco ecc.
Quelle che indicano una "forma" a croce sono tarde.
Poi ancora il graffito pompeiano, e il graffito del Palatino
Quello pompeiano è discussso e quello palatino decisamente tardo...
Poi il ritrovamento novecentesco dei resti di un uomo crocefisso in Gerusalemme non molti anni dopo Gesù.
Ritrovamento che non ci permette di dedurre alcuna forma, se non che fosse inchiodato ad un legno, inequivocabilmente un "palo".
Ancora
Si noti quel «portando» che non rende bene né il greco che il latino: in effetti sia bajulans che βαστάζων rimandano al trasporto sulle spalle o sul dorso, in senso proprio come un asino (l’Ital. ‘basto’ deriva in effetti da βαστάζω). Quindi abbandoniamo pure l’immagine tradizionale di Gesù che “trascina” la sua croce. O aveva sulle spalle il patibulum, o lo stipes. Più ragionevole, pratico ed economico pensare al patibulum
Il verbo è usato in modo molto libero, indica "sollevare" ma anche semplicemente "portare" ad esempio in Atti 21,35 è detto che Paolo "
quando giunse sulle scale, la situazione divenne tale che egli era portato [bastazo] dai soldati a causa della violenza della folla", evidentemente non venne sollevato sul dorso, ma solo trascinato via dai soldati. Insomma, il termine di per sé non ci dice molto.
Shalom
PS... l'autore dice di noi:
"Ed altro che non sto a ricordare, perché è inutile parlare a coloro che “hanno orecchi ma non possono udire» (TNM, Salmi, 115. 6)"
Inutile dire che lo invitiamo qui per confrontarsi con noi, sperando di aver capito che i nostri orecchi sono pronti ad udire!